A cura di Giuseppe Monno

“Dove c’è Cristo, ivi è la Chiesa cattolica.” (Ignazio di Antiochia, Lettera agli Smirnesi, anno 107)
“La Chiesa di Dio che dimora a Smirne alla Chiesa di Dio che è a Filomelio e a tutte le comunità della Santa Chiesa Cattolica di ogni luogo. La misericordia, la pace e la carità di Dio Padre e del Signore nostro Gesù Cristo abbondino.” (Martirio di Policarpo, anno 155)
Le origini del primato romano nel I secolo
Verso la fine del I secolo, Papa Clemente di Roma – collaboratore dell’apostolo Paolo (Filippesi 4,3; Historia Ecclesiastica, III, 4,9; III, 15) e terzo successore di Pietro come vescovo di Roma (Adversus Haereses, III, 3,3) – scrisse una celebre lettera alla comunità di Corinto, nota come Prima lettera di Clemente ai Corinzi.
La causa di questa lettera furono i disordini interni alla Chiesa di Corinto, dove alcuni fedeli si erano ribellati contro i presbiteri legittimamente istituiti, destituendoli arbitrariamente. Papa Clemente, intervenendo da Roma e non su richiesta, ma per propria autorità, esortò i Corinzi al ravvedimento e alla sottomissione ai legittimi pastori (1Clemente 57,1-2), minacciando sanzioni spirituali per chi non avesse obbedito (1Clemente 59,1).
Eusebio di Cesarea testimonia che gli ammonimenti del vescovo di Roma furono accolti e osservati dalla comunità di Corinto (Historia Ecclesiastica, IV, 23,11), e che la lettera di Clemente fu considerata di tale autorevolezza da essere letta pubblicamente nelle assemblee liturgiche di molte Chiese (Historia Ecclesiastica, III,16).
Questo episodio costituisce una prova precoce del riconoscimento del primato romano: già nel I secolo, la Chiesa di Roma esercitava una funzione di arbitrato e di guida morale sulle altre comunità cristiane. La lettera di Clemente non solo afferma l’autorità dei vescovi e dei presbiteri sui fedeli, ma anche il ruolo della sede romana come garante dell’ordine ecclesiale e della tradizione apostolica.
La testimonianza di Ireneo di Lione
Nella seconda metà del II secolo, Ireneo, vescovo di Lione, discepolo di Policarpo di Smirne (a sua volta discepolo dell’apostolo Giovanni: Adversus Haereses, III, 3,4; Historia Ecclesiastica, V, 20,6), scrive nel suo capolavoro Adversus Haereses una delle più chiare affermazioni del primato della Chiesa di Roma:
“Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima, antichissima e universalmente conosciuta, fondata e stabilita a Roma dai gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo. […] Con questa Chiesa, a motivo della sua preminente autorità, deve necessariamente accordarsi ogni Chiesa, cioè i fedeli che si trovano dappertutto, poiché in essa è stata sempre conservata la tradizione apostolica.” (Adversus Haereses, III, 3,2)
Ireneo enumera i successori di Pietro e Paolo fino al suo tempo:
Lino, Anacleto (Cleto), Clemente, Evaristo, Alessandro, Sisto, Telesforo, Igino, Pio, Aniceto, Sotero, Eleuterio (Adversus Haereses, III, 3,3).
In tal modo, egli intende mostrare che la successione episcopale romana custodisce intatta la fede apostolica, ed è quindi il criterio di ortodossia per tutte le altre Chiese. Questo passo di Ireneo è fondamentale perché rappresenta la prima formulazione sistematica del primato romano in rapporto alla tradizione e alla successione apostolica.
Il vescovo di Roma come giudice della fede nel III secolo
Un’altra testimonianza significativa proviene dal De sententia Dionysii di Atanasio di Alessandria (†373). Nella metà del III secolo, Dionisio di Alessandria, noto per il suo rigore teologico, fu accusato da alcuni presbiteri egiziani di aver espresso idee imprecise sulla Trinità, nel tentativo di confutare l’eresia sabeliana.
I sabelliani affermavano che Padre e Figlio e Spirito Santo non fossero persone distinte, ma manifestazioni o modi dell’unico Dio Padre (da cui i nomi “patripassiani” o “modalisti”). Nel reagire a tale errore, Dionisio di Alessandria aveva insistito troppo sulla distinzione tra il Padre e il Figlio, rischiando di compromettere l’unità divina.
I presbiteri egiziani si rivolsero dunque a Dionisio di Roma, chiedendogli di giudicare la questione dottrinale. Questo gesto mostra chiaramente come, già nel III secolo, il vescovo di Roma fosse riconosciuto come istanza di riferimento teologica universale. Il vescovo alessandrino rispose prontamente alla correzione romana e confermò la propria adesione all’unità trinitaria così come professata dalla Chiesa di Roma.
L’episodio mostra che, nel pensiero cristiano antico, il vescovo di Roma era considerato custode dell’ortodossia, e la sua dottrina aveva valore normativo per le altre Chiese. Tale riconoscimento non derivava da un’autorità politica o disciplinare, ma da una successione apostolica diretta da Pietro, considerato fondamento visibile dell’unità della Chiesa (cf. Matteo 16,18-19).
Sviluppo del primato e riconoscimento universale
Nei secoli successivi, il ruolo del vescovo di Roma come principio di unità e garante della fede si consolidò progressivamente.
Stefano I (†257) affermò l’autorità di Roma nelle controversie battesimali con le Chiese africane guidate da Cipriano di Cartagine, ribadendo che la comunione ecclesiale era fondata sulla cattedra di Pietro, “da cui deriva l’unità episcopale”.
Damaso I (366–384) e Innocenzo I (401–417) esercitarono una crescente influenza sulle decisioni dottrinali e disciplinari, specialmente in Oriente.
Il Concilio di Sardica (343), riconosciuto da molti come un passo preparatorio verso il concetto di appello al Papa, stabilì che un vescovo deposto potesse ricorrere al giudizio del vescovo di Roma (canoni 3–5).
Infine, nel V secolo, Papa Leone Magno (440–461) definì teologicamente il primato petrino nel Tomus ad Flavianum, approvato dal Concilio di Calcedonia (451) con le celebri parole dei padri conciliari:
“Pietro ha parlato per bocca di Leone.” (Acta Conciliorum Oecumenicorum, II,1,2, p.83)
Conclusione
Fin dai primi secoli, la Chiesa cattolica ha riconosciuto nella Sede di Roma non solo una funzione di onore, ma una vera autorità di guida e discernimento. Tale autorità si fonda su una duplice dimensione:
Storica e apostolica, per la successione diretta da Pietro e Paolo;
Teologica e spirituale, come segno visibile dell’unità della fede e della comunione ecclesiale.
Il primato romano, quindi, non è un’invenzione posteriore, ma un dato intrinseco alla struttura della Chiesa apostolica, riconosciuto progressivamente attraverso la prassi, la dottrina e la testimonianza dei Padri.
