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TRANSUSTANZIAZIONE

A cura di Giuseppe Monno

Secondo la dottrina cattolica della Transustanziazione, il sacerdote validamente ordinato, che ha l’intenzione oggettiva di compiere ciò che fa la Chiesa nel celebrare l’Eucaristia, e che utilizza correttamente la materia (cioè il pane e il vino) e la forma (le parole della consacrazione pronunciate da Cristo nell’ultima cena), rende realmente presente Cristo sotto le specie del pane e del vino.

Le parole della consacrazione sono:

sul pane: “Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”;

sul calice: “Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.

Attraverso queste parole, Cristo è tutto e realmente presente, con la sostanza del suo corpo, sangue, anima e divinità, sotto le apparenze del pane e, allo stesso modo, sotto le apparenze del vino. Egli è interamente presente anche in un piccolo frammento del pane consacrato e in una piccola goccia del vino consacrato.

Cristo ha offerto un corpo vivo, non privo di sangue, animato da un’anima razionale – principio vitale del corpo – e unito ipostaticamente alla Seconda Persona della Santissima Trinità. Perciò, la Chiesa cattolica crede giustamente che Cristo è tutto e realmente presente sotto ciascuna delle due specie, senza divisione, con la sostanza del suo corpo, sangue, anima e divinità.

Questa presenza si realizza mediante le parole della consacrazione e per l’azione dello Spirito Santo, che converte tutta la sostanza del pane e del vino nella sostanza del Signore Gesù Cristo. Questa conversione viene chiamata Transustanziazione – termine ufficialmente adottato dal IV Concilio Lateranense (1215), sebbene già utilizzato in precedenza.

Dopo la consacrazione, del pane e del vino rimangono solo le apparenze, non la sostanza. Tali apparenze vengono mantenute nell’esistenza dalla potenza divina. La validità e l’efficacia di questo sacramento non dipende dallo stato morale e spirituale del ministro, ma dalla virtù di Cristo e dal potere spirituale che egli ha conferito ai Dodici: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22,19). I Dodici hanno poi trasmesso questo potere spirituale ai loro legittimi successori, i vescovi, e ai sacerdoti loro collaboratori, attraverso l’imposizione delle mani (Atti 13,2-3; 14,23; Tito 1,5; 1Timoteo 4,14; 5,22; 2Timoteo 1,6), cioè mediante il sacramento dell’Ordine sacro.

Soltanto i sacerdoti validamente ordinati, agendo in persona Christi Capitis (nella Persona di Cristo Capo) e come Alter Christus (altro Cristo), con l’intenzione oggettiva di fare ciò che fa la Chiesa, possono, ripetendo le parole della consacrazione, rendere presente Cristo nell’Eucaristia mediante la Transustanziazione.

L’Eucaristia nutre l’anima dei fedeli con la grazia sacramentale. Tuttavia, le specie consacrate mantengono miracolosamente la capacità di nutrire anche il corpo. La presenza reale di Cristo perdura finché le specie non si corrompono, ad esempio durante la digestione. Per questo motivo, non si deve credere che Cristo possa finire nella fogna. Noi cattolici adoriamo l’Eucaristia perché, sotto le apparenze del pane e del vino, è presente realmente e sostanzialmente Cristo intero, con la sostanza del suo corpo, sangue, anima e divinità.

Cristo si dona a noi come alimento sotto le apparenze di quei cibi che più comunemente nutrono l’uomo. Non dobbiamo dare ascolto a chi, deridendo la nostra fede, ci accusa di cannibalismo. Tali accuse sono capziose. Il cannibalismo implica nutrirsi in senso fisico-biologico di carne umana. I cattolici, invece, si nutrono sacramentalmente di Cristo non nel suo corpo materiale, ma spirituale, ricevendolo sotto i segni sacramentali del pane e del vino. Non mastichiamo un tessuto biologico umano, non mangiamo carne in senso materiale. La sostanza del pane e del vino è cambiata, non gli accidenti (sapore, odore, colore, ecc.). Chi ci accusa di cannibalismo, semplicemente non ha compreso la realtà profonda di questo sacramento.

La Transustanziazione era già prefigurata nell’Antico Testamento. Nel deserto, il Signore nutriva il suo popolo con pane al mattino e carne alla sera (Esodo 16,12). Il passaggio dal pane alla carne prefigura simbolicamente la Transustanziazione.

Nella celebrazione eucaristica viene rinnovata l’offerta del sacrificio di Cristo: non come copia del sacrificio del Calvario – unico, perfetto, irripetibile, di valore infinito e dagli effetti attivi e retroattivi – ma come medesimo sacrificio avvenuto duemila anni fa’. In ogni celebrazione eucaristica, quindi, partecipiamo realmente allo stesso sacrificio compiuto sul Golgota. Sulla croce avvenne in modo cruento, sull’altare avviene in modo non cruento.

San Francesco d’Assisi affermava:

“Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.” (Lettera all’Ordine intero, 26)

Il sacrificio della Santa Messa viene offerto da tutta la Chiesa: dagli angeli e dai santi, dai fedeli ancora pellegrini sulla terra, e in modo particolare dai sacerdoti, strumenti di Cristo. Durante la celebrazione eucaristica, il soggetto principale è Gesù Cristo stesso, presente nel sacramento. Egli è l’offerta che la Chiesa presenta al Padre, attraverso lo Spirito Santo, in virtù della comunione che la rende un solo corpo con Cristo.

I frutti spirituali dell’Eucaristia giovano a tutta la Chiesa: ai fedeli sulla terra e alle anime dei defunti in purgatorio. Anche gli angeli e i santi si uniscono alla liturgia terrena, che è anticipo e figura della liturgia celeste, nella quale la Chiesa glorificata adora Dio eternamente.

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LA DOTTRINA CRISTIANA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

La Trinità è la dottrina cristiana secondo la quale vi è un solo Dio in tre persone uguali nella natura e sostanza, ma distinte per le loro relazioni d’origine. Gesù ha rivelato che Dio è Padre e Figlio (Logos) e Spirito Santo, e la Chiesa nei secoli ha formulato questa dottrina soprattutto mediante i Concili, ricorrendo all’uso di nozioni di origine filosofica come « ipostasi » o « persona » per indicare il Padre e il Figlio e lo Spirito nella loro reciproca distinzione, e « sostanza » per indicare l’unità di Dio. Di seguito vedremo alcune scritture che provano la veridicità della dottrina trinitaria:

› DIO È UNO SOLO

Deuteronomio 32,39
Ora vedete che io solo sono Dio e che non vi è altro dio accanto a me.

Romani 3,30
Poiché non c’è che un solo Dio.

Giacomo 2,19
Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!

› DIO È IL PADRE

Giovanni 1,18
Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Giovanni 5,18
Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

Giovanni 6,27
Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo.

Romani 15,6
Perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

› DIO È IL FIGLIO

Luca 8,37-39
Gesù, salito su una barca, tornò indietro. L’uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo: « Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto ». L’uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.

Giovanni 16,15
Tutto quello che il Padre possiede è mio.

Giovanni 20,28
Rispose Tommaso: Signore mio e Dio mio!

Atti 20,28
Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue.

Romani 9,5
Da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa Dio benedetto nei secoli. Amen.

Colossesi 2,9
È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità.

Tito 2,13
Nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo.

2Pietro 1,1
Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo.

› DIO È LO SPIRITO SANTO

Atti 5,3-4
Ma Pietro gli disse: Anania, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? (…) Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio.

1Corinzi 3,16
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?

› Il FIGLIO È COL PADRE UN SOLO DIO

Filippesi 2,6
[Cristo] pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente.

Giovanni 10,30
Io e il Padre siamo Uno.

Giovanni 14,11
Credetemi, io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.

› IL FIGLIO DI DIO HA UNITO A SÉ STESSO IPOSTATICAMENTE LA NATURA UMANA

Il Figlio – giunta la pienezza del tempo – si è incarnato (Giovanni 1,14; Galati 4,4), perciò ha due nature, divina e umana, integre, indivisibili, non confuse. Secondo la natura umana – e soltanto in riferimento a questa – Gesù è sottoposto a Dio (Giovanni 14,28; Atti 3,13; 1Corinzi 11,3). Così in lui la volontà umana a quella sua divina e onnipotente (Ebrei 10,7.9; Luca 22,42; Giovanni 14,31).

› LO SPIRITO SANTO È, AD UN TEMPO, LO SPIRITO DEL PADRE E LO SPIRITO DEL FIGLIO

Matteo 10,20
Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

Galati 4,6
E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!

› LO SPIRITO SANTO È UNA PERSONA DIVINA

Desidera
Colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio (Romani 8,27).

Crea
Lo Spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell’Onnipotente mi dà vita (Giobbe 33,4).

Ama
Vi esorto perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio (Romani 15,30).

Consola
Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre (Giovanni 14,16).

Si rattrista
Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione (Efesini 4,30). – Isaia 63,10

Rivela
Lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore (Luca 2,26).

Vieta
Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia (Atti 16,6).

Insegna la verità
Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi (Giovanni 14,17). – v 26; 15,26

Conosce tutte le cose
Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio (1Corinzi 2,9-11).

Intercede per la Chiesa
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio (Romani 8,26-27).

Testimonia Cristo
Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza (Giovanni 15,26).

Può essere tentato
Allora Pietro le disse: Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te (Atti 5,9).

Può essere mentito
Ma Pietro gli disse: « Anania, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? » (Atti 5,3).

Può essere bestemmiato
Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro (Matteo 12,31-32).

Ed è Paraclito (Giovanni 14,16) come Gesù Cristo (1Giovanni 2,1).

› IL FIGLIO NON È IL PADRE

Giovanni 17,18
Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo.

2Corinzi 1,3
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione.

› LO SPIRITO SANTO NON È IL PADRE NÉ IL FIGLIO

Salmi 104,30
Tu mandi il tuo Spirito e sono creati, e tu rinnovi la faccia della terra.

Giovanni 14,16-17
Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.

Perciò la dottrina della Trinità non è invenzione del IV secolo, ma trova nella Bibbia il suo fondamento. Nel 325 e nel 381 i Concili di Nicea e di Costantinopoli furono necessari soprattutto contro l’errore degli ariani e contro quello dei macedoniani (detti anche pneumatomachi), i quali negavano la divinità di Gesù e dello Spirito Santo. Perciò la Chiesa mediante i Concili definì la divinità di Gesù e dello Spirito Santo. Invece il termine Trinità fu coniato nel II secolo da Tertulliano (De pudicitia XXI, 16) col quale esprime, ad un tempo, l’unità di Dio e la distinzione fra le tre persone divine (Adversus Praxean II, 4; VIII, 6-7; IX, 1; XII, 7; XXV, 1). Entrato a far parte del linguaggio teologico, il termine Trinità è divenuto a tutti gli effetti il nome della fondamentale dottrina della Chiesa cristiana.

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LA DOTTRINA DELLA TRINITÀ

La Trinità è la dottrina cristiana secondo la quale vi è un solo Dio in tre persone uguali nella natura e sostanza, ma distinte per le loro relazioni d’origine. Gesù ha rivelato che Dio è Padre e Figlio (Logos) e Spirito Santo, e la Chiesa nei secoli ha formulato questa dottrina soprattutto mediante i Concili, ricorrendo all’uso di nozioni di origine filosofica come « ipostasi » o « persona » per indicare il Padre e il Figlio e lo Spirito nella loro reciproca distinzione, e « sostanza » per indicare l’unità di Dio. Di seguito vedremo alcune scritture che provano la veridicità della dottrina trinitaria:

› C’è un solo Dio (Deuteronomio 32,39; Romani 3,30; 1Timoteo 2,5; Giacomo 2,19).

› È Padre (Giovanni 1,18; 5,18; 6,27.46; Romani 15,6; 1Corinzi 8,6; 15,24).

› È Figlio (Luca 8,39; Giovanni 20,28; Atti 20,28; Romani 9,5; Colossesi 2,9; Tito 2,13; 2Pietro 1,1; Apocalisse 1,17-18).

› È Spirito (Atti 5,3-4; 1Corinzi 3,16; Giobbe 33,4).

› Il Figlio è col Padre un solo Dio (Filippesi 2,6; Giovanni 10,30; 14,10-11).

› Il Figlio – giunta la pienezza del tempo – si è incarnato (Giovanni 1,14; Galati 4,4), perciò ha due nature, divina e umana, integre, indivisibili, non confuse. Secondo la natura umana – e soltanto in riferimento a questa – Gesù è sottoposto a Dio (Giovanni 14,28; Atti 3,13; 1Corinzi 11,3). Così in lui la volontà umana a quella divina (Ebrei 10,7.9; Luca 22,42; Giovanni 14,31).

› Lo Spirito Santo è, ad un tempo, lo Spirito del Padre (Matteo 10,20) e lo Spirito del Figlio (Galati 4,6).

› Lo Spirito Santo è una persona divina: desidera (Romani 8,27), crea (Giobbe 33,4; Salmi 104,30), ama (Romani 15,30), consola (Giovanni 14,16.26; 15,26; 16,7), si rattrista (Isaia 63,10; Efesini 4,30), rivela (Luca 2,26), vieta (Atti 16,6-7), insegna la verità (Giovanni 14,17.26; 15,26), conosce tutte le cose (1Corinzi 2,9-11), intercede per la Chiesa (Romani 8,26-27), testimonia Cristo (Giovanni 15,26), può essere tentato (Atti 5,9), mentito (Atti 5,3), bestemmiato (Matteo 12,31-32), ed è Paraclito (Giovanni 14,16) come il Figlio (1Giovanni 2,1).

› Il Figlio non è il Padre (Giovanni 1,14; 17,1.3.18; 2Corinzi 1,3; Efesini 1,3; Colossesi 1,3; 1Pietro 1,3).

› Lo Spirito non è il Padre né il Figlio (Giovanni 14,16; 15,26).

Perciò la dottrina della Trinità non è invenzione del IV secolo, ma trova nella Bibbia il suo fondamento. Nel 325 e nel 381 i Concili di Nicea e di Costantinopoli furono necessari soprattutto contro l’errore degli ariani e contro quello dei macedoniani (detti anche pneumatomachi), i quali negavano la divinità di Gesù e dello Spirito Santo. Perciò la Chiesa mediante i Concili definì la divinità di Gesù e dello Spirito Santo. Invece il termine Trinità fu coniato nel II secolo da Tertulliano (De pudicitia XXI, 16) col quale esprime, ad un tempo, l’unità di Dio e la distinzione fra le tre persone divine (Adversus Praxean II, 4; VIII, 6-7; IX, 1; XII, 7; XXV, 1). Entrato a far parte del linguaggio teologico, il termine Trinità è divenuto a tutti gli effetti il nome della fondamentale dottrina della Chiesa cristiana.

IL FRUTTO DELLA TENTAZIONE

A cura di Giuseppe Monno

Il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male — tradizionalmente chiamato “frutto proibito” o “frutto della tentazione” — non è mai identificato nella Bibbia con una mela. Il testo della Genesi non specifica di quale frutto si tratti. Tuttavia, alcuni interpreti hanno ipotizzato che lo scrittore sacro avesse in mente il fico, e questo per un dettaglio significativo: subito dopo aver mangiato il frutto, Adamo ed Eva “si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Genesi 3,7).
La rapidità della loro reazione — e l’uso di foglie di un albero specifico — ha portato alcuni studiosi a ritenere che il fico fosse l’albero del racconto. In realtà, la Scrittura non lo afferma esplicitamente: si tratta di una ipotesi suggestiva, non di una certezza.

Perché nella tradizione cristiana appare la mela?

L’identificazione del frutto proibito con la mela deriva principalmente da un gioco linguistico nato nel latino tardo e consolidato nell’iconografia occidentale. Nella Vulgata di san Girolamo, la traduzione latina della Bibbia (IV secolo), vengono usati i termini bonum (bene) e malum (male) in riferimento all’albero della “conoscenza del bene e del male” (Genesi 2,17).
Ora, il latino malum significa sia “male” sia “mela”.
Questa omonimia — unita al fatto che il frutto proibito viene descritto come “buono da mangiare” e “desiderabile agli occhi” (Genesi 3,6) — portò l’arte cristiana medievale a rappresentarlo come una mela, simbolo già ricco di significati (bellezza, desiderio, seduzione).
È però fondamentale ribadire che dal punto di vista biblico il frutto rimane volutamente non identificato: ciò rafforza il carattere simbolico del racconto.

Il significato teologico dell’albero

Nel linguaggio biblico antico, l’albero della conoscenza del bene e del male non rappresenta la semplice capacità intellettuale di distinguere ciò che è moralmente buono da ciò che è cattivo, capacità che l’uomo già possiede come creatura razionale.
Secondo la teologia cattolica, l’albero rappresenta qualcosa di molto più profondo:
il limite che l’uomo deve riconoscere come creatura, in rapporto al suo Creatore.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che questo albero “evoca simbolicamente il limite invalicabile che l’uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare” (CCC 396).
Il senso del divieto non è arbitrario, né punitivo: indica che l’uomo, pur essendo fatto “a immagine e somiglianza di Dio” (Genesi 1,26-27), rimane dipendente da Dio, inserito in un ordine morale che non può autodeterminare da solo.
Mangiare di quel frutto significa dunque voler stabilire autonomamente e in modo assoluto ciò che è bene e ciò che è male:
l’uomo pretende di farsi “come Dio” (Genesi 3,5) non per comunione con Lui, ma contro di Lui.
Questo atto, nella teologia cattolica, non è una semplice disobbedienza, ma un rifiuto della creaturalità, un gesto di autosufficienza radicale.

“Certamente moriresti” — il senso della morte nel racconto

Il monito divino — “nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente morirai” (Genesi 2,17) — non indica una morte immediata e fisica, come dimostra il prosieguo della narrazione.
Tradizionalmente la Chiesa ha interpretato questa frase su due livelli:

1. Morte spirituale: la perdita della grazia, cioè dell’amicizia e dell’intimità con Dio.

2. Morte fisica: la corruzione e la mortalità entrano nella condizione umana come conseguenza del peccato.

Il “morire” è quindi l’effetto di un atto che spezza la fiducia fondamentale tra Dio e l’uomo, introducendo nel mondo la disarmonia interiore, la paura, la vergogna e il dolore.

Conclusione

Il racconto del frutto proibito non è semplicemente una lezione morale sul peccato o una favola su un frutto misterioso. È il fondamento biblico della condizione umana:

la libertà dell’uomo,

la sua dignità di creatura a immagine di Dio,

il limite che lo custodisce,

e la tragedia del voler essere autonomi da Dio.

Che il frutto fosse un fico, una mela o altro poco importa: ciò che conta è il dramma della libertà che può scegliere se restare nell’amore del Creatore o costruire la propria vita a partire da sé stessa.

IL SERPENTE

A cura di Giuseppe Monno

Nei primi capitoli della Genesi, il serpente appare come un elemento narrativo profondamente simbolico, ma la fede cattolica — seguendo la Tradizione, il Magistero e la lettura globale della Scrittura — riconosce che dietro questa figura poetico-simbolica agisce una realtà personale e intelligente: l’angelo decaduto che si oppone al disegno di Dio. Arricchendo teologicamente il tema, si possono evidenziare alcuni punti chiave della visione cattolica:

1. Il serpente come “maschera” dell’Avversario

Il linguaggio simbolico non svuota di realtà l’evento narrato. Nella Scrittura il simbolo non è mai finzione, ma un ponte che permette di esprimere misteri reali con immagini accessibili all’uomo. Il serpente è quindi la forma narrativa che rende percepibile l’azione nascosta di un essere spirituale. La sapienza biblica non mira a offrire una cronaca naturalistica, ma a svelare il dinamismo del male e la sua origine personale.

2. La strategia della tentazione

Nella lettura cattolica, il serpente non agisce come una semplice forza impersonale. Il dialogo con Eva mostra una volontà cosciente e maliziosa che manipola la parola di Dio, instilla il sospetto, e apre lo spazio a un desiderio distorto di autonomia. La tentazione appare come un’offerta di una libertà che in realtà è schiavitù: la promessa di “diventare come Dio” senza Dio. Questo gesto rivela l’identità dell’avversario: colui che, avendo rifiutato la signoria divina, tenta l’uomo a percorrere lo stesso sentiero di rivolta.

3. Il legame tra la caduta degli angeli e la caduta dell’uomo

La Tradizione cattolica sottolinea che il peccato degli angeli — un atto di rifiuto dell’ordine di amore voluto da Dio — precede e rende possibile la tentazione umana. Il serpente è allora il segno narrativo dell’irruzione nel creato materiale di un dramma già avvenuto nel creato spirituale. L’uomo non cade in un vuoto morale: viene trascinato in un conflitto già aperto tra la fedeltà al Creatore e la ribellione.

4. Una simbologia anche polemica

Il serpente, figura presente nei culti pagani come simbolo di sapienza, fertilità o forza vitale, viene reinterpretato nella Genesi come contro-sapienza: ciò che sembra portatore di vita si rivela fonte di morte. La Scrittura opera così un discernimento teologico: non tutto ciò che appare sacro o “potente” è benigno. Questa rilettura assume un valore apologetico, mostrando che la vera sapienza non sgorga da potenze naturali ambigue, ma dalla parola del Dio vivente.

5. Il nucleo teologico: realtà del peccato e promessa di redenzione

Il racconto non rimane fermo sulla caduta. L’esperienza del male è inserita immediatamente nella prospettiva della salvezza. La “inimicizia” posta da Dio tra la stirpe della donna e quella del serpente annuncia già l’opera futura del Redentore. La tradizione cattolica legge in questo versetto (Gen 3,15) il “protovangelo”: il primo bagliore della vittoria di Cristo su Satana. Così, la narrazione con il serpente non è solo analisi del male, ma proclamazione di un disegno salvifico che abbraccia la storia da principio a compimento.

6. L’orizzonte antropologico: la libertà ferita ma non annullata

La tentazione del serpente rivela che l’uomo, pur creato buono e in alleanza con Dio, è chiamato a maturare nella libertà. Il peccato originale non è un incidente marginale, ma la frattura attraverso cui il male spirituale entra in rapporto con l’uomo. Tuttavia, l’immagine di Dio nell’uomo non viene cancellata: la storia della salvezza sarà il cammino attraverso cui Dio guarisce, educa e riconduce la libertà ferita alla sua vocazione originaria.

I PRO-PAL E LA NARRAZIONE CHE EVITA DI TOCCARE I MASSACRI DI HAMAS

A cura di Giuseppe Monno

I Pro-Pal si indignano a comando: gridano allo scandalo per i palestinesi, ma su Hamas — che ha massacrato famiglie, ucciso bambini e stuprato donne — quasi nessuna parola. Questa doppia morale è impressionante.
E, paradossalmente, sono gli stessi che si irritano se mostri la bandiera italiana: il simbolo del Paese che garantisce loro libertà, diritti e sicurezza.

Continuano a sostenere posizioni che indeboliscono l’Italia, salvo poi lamentarsi se tutto questo produce conseguenze che erano sotto gli occhi di tutti. La coerenza, evidentemente, non è il loro forte.

Hamas ha commesso atrocità contro civili israeliani il 7 ottobre 2023, inclusi omicidi di bambini e violenze sessuali.
Questi non sono “propaganda israeliana”: sono accertamenti ufficiali fatti da organismi indipendenti, Nazioni Unite comprese.

È un fatto accertato che Hamas e altri gruppi armati entrati in Israele il 7 ottobre hanno ucciso civili di ogni età, compresi bambini e neonati.
Abbiamo come fonti autorevoli:

ONU (Office of the High Commissioner for Human Rights),

Human Rights Watch,

Amnesty International,

Commissione d’inchiesta dell’ONU sul 7 ottobre (2024),

Testimonianze verificate e analisi forensi indipendenti.

I rapporti parlano di intere famiglie massacrate nelle loro case.

Le indagini internazionali hanno confermato che durante il 7 ottobre sono avvenute violenze sessuali, incluse forme estreme di brutalità.
La fonte più significativa è la Commissione d’Inchiesta dell’ONU, che nel giugno 2024 ha dichiarato:

“Ci sono prove chiare e convincenti che alcuni attacchi del 7 ottobre hanno incluso stupri e violenze sessuali da parte di membri di Hamas e di altri gruppi armati.”

Anche Human Rights Watch conferma casi documentati di violenza sessuale, con prove forensi e testimonianze coerenti.
Non tutte le accuse circolate nei primi giorni erano fondate (alcune erano voci o esagerazioni), ma la presenza di stupri e violenze sessuali è stata confermata dalle verifiche ufficiali.

Questi dati non provengono da Israele, ma da organismi internazionali indipendenti.
Non è un’opinione politica: sono fatti documentati.

Il 7 ottobre 2023 è stata Hamas ad attaccare per prima.
Alle 6:30 del mattino circa, Hamas e altri gruppi armati hanno lanciato:

razzi contro Israele,

un attacco coordinato di terra, con oltre mille uomini armati entrati in territorio israeliano,

assalti a kibbutz, case, strade e al festival musicale di Re’im,

uccisioni di civili, rapimenti e altre atrocità.

L’attacco è stato completamente a sorpresa e ha violato ogni precedente accordo o tregua informale.
Dopo il 7 ottobre, Israele ha risposto:
L’operazione militare israeliana a Gaza è stata una reazione all’attacco di Hamas.
È un dato riconosciuto da tutte le fonti internazionali, indipendentemente dalla loro posizione politica.

Purtroppo, chi paga il prezzo più alto non sono i capi, non i miliziani, non i politici, ma i civili. Sempre i civili.
Il 7 ottobre le persone israeliane uccise o rapite erano famiglie, bambini, giovani che stavano ascoltando musica, donne e anziani nelle loro case.
Nessuna responsabilità, nessuna scelta. Solo vite spezzate.

A Gaza la risposta militare ha colpito un territorio densissimo, dove Hamas opera intenzionalmente in mezzo a scuole, ospedali e palazzi residenziali.
E così migliaia di persone — bambini, donne, famiglie — hanno perso la vita o tutto ciò che avevano.

È la realtà crudele dei conflitti asimmetrici.
Ogni volta che un gruppo armato si nasconde tra i civili, e ogni volta che la risposta militare colpisce aree popolate, gli innocenti diventano scudi involontari.
Ed è qui che il conflitto diventa moralmente insopportabile.

È possibile condannare l’attacco terroristico del 7 ottobre e, allo stesso tempo, soffrire sinceramente per i civili palestinesi travolti dalla guerra.
Le due cose non si escludono. Anzi, è l’unica posizione che conserva umanità.

Purtroppo i Pro-Pal non parlano quasi mai dei terroristi di Hamas e di ciò che hanno fatto.
Se Hamas non avesse lanciato l’attacco del 7 ottobre, Israele non avrebbe avviato l’operazione militare a Gaza.
Questa è una sequenza di fatti: l’azione di Hamas è stata l’innesco immediato della guerra attuale.

Il conflitto del 2023–2024 nasce da un’unica causa scatenante:
l’attacco coordinato di Hamas contro i civili israeliani.
Israele ha reagito militarmente solo dopo quel giorno.

Certo, sul piano storico più ampio il conflitto esisteva già.
Israele–Palestina era un’area tesa da decenni:

blocco di Gaza,

lanci di razzi negli anni precedenti,

operazioni israeliane periodiche,

governo di Hamas nella Striscia,

fallimenti politici da entrambe le parti.

Ma l’escalation attuale non sarebbe scoppiata senza il 7 ottobre.

La guerra che vediamo oggi nasce da un fatto preciso: se Hamas non avesse attaccato e massacrato civili il 7 ottobre, Israele non avrebbe lanciato un’operazione militare di questa portata. Questo non cancella i problemi precedenti, ma l’innesco dell’escalation è chiaro.

I Pro-Pal non parlano quasi mai del 7 ottobre o delle atrocità di Hamas.
Per loro ammettere il 7 ottobre indebolirebbe la narrazione che vogliono sostenere.
C’è chi vede il conflitto solo come “Israele aggressore / palestinesi vittime”.
Nel loro schema mentale, riconoscere che Hamas ha commesso atrocità mette in crisi la narrazione semplice.
Quindi preferiscono evitare l’argomento.

Molti confondono i palestinesi con Hamas (e temono che riconoscere i crimini di Hamas equivalga a tradire i palestinesi).
Molti pro-Pal pensano:
“Se dico che Hamas ha commesso atrocità, sto aiutando la propaganda israeliana.”
In realtà, criticare un gruppo terroristico non significa essere contro i palestinesi.
Ma loro vivono il tema in termini di tifo, non di analisi.

Una parte non sa davvero cosa sia successo il 7 ottobre, o ha letto solo fonti che minimizzano.
Oppure crede che siano “propaganda israeliana”, ignorando i rapporti ONU e HRW.
È un classico effetto delle echo chambers sui social.
Per alcuni Israele ha sempre torto, a prescindere dai fatti.
Ci sono persone per cui tutto ciò che fa Israele è automaticamente sbagliato.
In questa visione, i fatti diventano secondari rispetto alla posizione politica.

Riconoscere stupri, massacri, esecuzioni di bambini significa accettare che la propria “parte” abbia commesso mostruosità.
Molti preferiscono negare per non affrontare il crollo dell’immagine ideale.

Nei dibattiti polarizzati, spesso si selezionano solo gli argomenti che fanno più comodo.
Tutto il resto viene eliminato.
In definitiva:
Non è che non sappiano che Hamas ha attaccato.
È che ammetterlo li costringerebbe a un livello di onestà che non si concilia con la loro narrativa politica.

ISPIRAZIONE, MEDIAZIONE E AUTORITÀ: ECCO PERCHÉ IL CORPO DIRETTIVO DEI TESTIMONI DI GEOVA NON È PARAGONABILE AL MAGISTERO CATTOLICO

A cura di Giuseppe Monno

Se per i Testimoni di Geova lo Spirito Santo non ispira più nessuno dopo il I secolo, e se Gesù è l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini (1 Timoteo 2,5), come possono affermare che il loro “Corpo Direttivo” è l’unico canale tra Dio e l’uomo?

Secondo la dottrina dei Testimoni di Geova, esiste una distinzione tra:

ispirazione (cessata dopo gli apostoli),

guida o direzione teocratica (che continuerebbe grazie al loro Corpo Direttivo).

Il Corpo Direttivo non dichiara di essere ispirato, ma dichiara di essere “guidato da Geova” e di essere il suo “canale di comunicazione sulla terra”.
Questo crea però una contraddizione logica e dottrinale, perché:

1. Se nessuno è più ispirato dopo il I secolo

…allora nessun gruppo può rivendicare autorità dottrinale esclusiva che vincoli la fede di milioni di persone.
Ma il Corpo Direttivo:

definisce dottrine,

stabilisce interpretazioni vincolanti,

richiede obbedienza totale come condizione di salvezza (secondo la loro escatologia di “sopravvivenza” ad Armaghedon).

Questa è funzionalmente identica a un’autorità ispirata, anche se negano formalmente l’ispirazione.

2. I Testimoni di Geova insegnano che Gesù è Mediatore, ma solo dei 144.000 (non di tutti i credenti).
La “grande folla” riceve i benefici del Mediatore indirettamente, attraverso:

i 144.000 (di cui il Corpo Direttivo sarebbe il resto vivente),

e quindi attraverso le direttive del Corpo Direttivo.

In pratica, questo sistema introduce un mediatore tra Gesù e i credenti, cioè:

Geova,

Gesù,

144.000,

Corpo Direttivo,

Grande folla.

Quindi, nonostante affermino che Gesù è l’unico Mediatore, la struttura crea un mediatore umano collettivo.

3. L’idea del “canale unico” non è biblica.
I passi che citano spesso (come Matteo 24,45: “lo schiavo fedele e discreto”) non parlano affatto:

di un gruppo ristretto,

né di un’autorità centrale mondiale,

né di un monopolio sulla verità,

né di una successione storica.

Molti studiosi cristiani e quasi tutte le confessioni lo interpretano come una parabola sulla fedeltà personale, non una profezia.

Insomma, per sostenere di essere l’unico canale di Dio sulla terra, i Testimoni di Geova devono:

negare l’ispirazione attuale,
ma allo stesso tempo parlare come se fossero guidati direttamente da Dio,

proclamare Gesù unico Mediatore,
ma creare un sistema in cui il credente non ha rapporto diretto con Cristo, bensì tramite il Corpo Direttivo.

Di fatto, dunque, la dottrina presenta due contraddizioni interne:

1. Un’autorità non ispirata che però parla come se fosse ispirata.

2. Un unico Mediatore che però viene “mediato” da un gruppo umano.

Anche la Chiesa cattolica fa la stessa cosa?

No, la Chiesa cattolica non fa la stessa cosa.
E il motivo principale è che non si attribuisce un ruolo che contraddice il dogma dell’unico Mediatore, né pretende un’autonomia “extra-biblica” come fa il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova.

Per capirlo bene, serve distinguere alcune realtà fondamentali.

1. Gesù è l’unico Mediatore in senso stretto.
La Chiesa cattolica è la prima a professarlo:

1 Timoteo 2,5: “Uno solo è il Mediatore”.

Il Catechismo lo ribadisce esplicitamente (CCC 480, 618, 1544…).

Gesù è “unico” perché:

unisce in sé la natura divina e quella umana,

offre sé stesso in sacrificio,

riconcilia l’umanità con il Padre.

Nessuna creatura può avere questo ruolo.

2. La Chiesa non è un “mediatore parallelo”, ma un “strumento del Mediatore”

Il Nuovo Testamento insegna che Cristo ha voluto continuare la sua missione attraverso apostoli, pastori e maestri (Matteo 28,18-20; Efesini 4,11).

Non sono mediatori al posto suo, ma mediatori strumentali, cioè collaboratori del Mediatore unico.

È la differenza tra:

mediazione sostitutiva (proibita; rendere qualcuno un altro “canale” tra Dio e l’uomo),

mediazione partecipata (biblicamente fondata: predicare, insegnare, guidare, amministrare i sacramenti).

La Bibbia stessa parla di mediazione ministeriale:

Paolo parla di sé come “collaboratore di Dio” (1 Corinzi 3,9),

come “ambasciatore di Cristo” (2 Corinzi 5,20),

come “padre” nelle cose della fede (1 Corinzi 4,15).

Questa mediazione non aggiunge nulla a Cristo: è Cristo che opera attraverso i suoi ministri.

3. Il Magistero non si presenta come “canale esclusivo” di rivelazione.
Qui sta la differenza decisiva con il Corpo Direttivo.

I Testimoni di Geova insegnano che più nessuno è ispirato dopo il I secolo, però attribuiscono al Corpo Direttivo:

autorità assoluta,

infallibilità pratica,

interpretazione unica e vincolante,

obbedienza come condizione di salvezza.

Questo equivale a rivendicare nuova ispirazione, pur negandola formalmente.

La Chiesa cattolica invece:

afferma che la Rivelazione pubblica è chiusa con gli apostoli,

il Magistero non aggiunge rivelazioni,

non è “ispirato” come la Bibbia,

ma è assistito dallo Spirito Santo per custodire fedelmente ciò che è già rivelato.

È una differenza grande:
Non nuovi messaggi, ma protezione da errori dottrinali.

4. La Chiesa non richiede obbedienza al Magistero per salvare l’istituzione, ma per custodire la fede apostolica.
Per usare un’immagine semplice:

Il Corpo Direttivo dice: “Dio parla solo tramite noi.”

La Chiesa dice: “Dio ha già parlato in Cristo; noi custodiamo fedelmente ciò che Lui ha detto.”

La prima crea un intermediario umano nuovo.
La seconda esercita un servizio di garanzia su ciò che Cristo ha rivelato una volta per sempre.

5. Il rapporto del credente con Cristo non passa “attraverso” il Papa.
Il cattolico può pregare Cristo direttamente, invocarlo, avere un rapporto personale con Lui, ricevere grazia dai sacramenti che vengono da Cristo e non dal Papa.

Il Papa non è:

un sacerdote universale al posto di Cristo,

né un mediatore tra Cristo e il singolo fedele,

né un “filtro” indispensabile per avere un rapporto personale con Dio.

È il custode dell’unità e della dottrina, non il “canale esclusivo” tra Dio e gli uomini.

Testimoni di Geova: il Corpo Direttivo parla come se fosse un canale ispirato.

Cattolici: il Magistero è assistito, non ispirato, e non aggiunge rivelazioni.

Testimoni di Geova: creano un sistema a strati (Geova, Gesù, 144.000, Corpo Direttivo, Grande folla).
Questo introduce un nuovo mediatore umano.

Cattolici: solo Cristo è Mediatore in senso forte; la Chiesa è suo strumento, non suo sostituto.

I Testimoni di Geova dicono che nessuno è ispirato, ma agiscono come se lo fossero; la Chiesa cattolica dice che nessuno è più ispirato, e rimane coerente, limitandosi a custodire ciò che Cristo ha già rivelato.

In che senso la Chiesa cattolica dice che nessuno è più ispirato, e che il Magistero è assistito, non ispirato, e non aggiunge rivelazioni?

Secondo la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, l’ispirazione biblica è conclusa, ma Dio continua ad assistere, illuminare e guidare la Chiesa attraverso lo Spirito Santo.
Ciò significa che nessuno oggi riceve una “ispirazione” uguale a quella degli autori della Bibbia, ma lo Spirito Santo opera ancora, in modi diversi.

L’ispirazione biblica è conclusa (dogma).
La Chiesa insegna che tutta la Rivelazione pubblica si è compiuta con Cristo e con l’ultimo apostolo.

“L’economia cristiana, in quanto Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da attendersi alcuna nuova rivelazione pubblica.”
(CCC 66)

“La Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un unico sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa.”
(Dei Verbum 10)

Nessuno dopo gli apostoli può essere ispirato nel senso di scrivere o trasmettere una rivelazione divina nuova.

Ma lo Spirito Santo continua ad operare.
La Chiesa insegna che lo Spirito Santo:

illumina i credenti,

santifica,

consola,

guida la Chiesa,

assiste il Magistero nella fedeltà alla rivelazione.

Non è “ispirazione biblica”, ma è assistenza, illuminazione, carismi, discernimento, movimenti interiori dello Spirito.
Il Concilio Vaticano II (Dei Verbum, 8) parla esplicitamente di questa azione continua:

“Lo Spirito Santo conduce la Chiesa alla verità tutta intera.”

“Con il suo aiuto cresce l’intelligenza delle parole trasmesse.”

Quindi Dio parla ancora al cuore dei fedeli, lo Spirito Santo guida la Chiesa, ma non conferisce ispirazione biblica o nuova rivelazione.

Esiste anche la “rivelazione privata” (non ispirazione biblica).
La Chiesa ammette che Dio possa dare rivelazioni private (es. Fatima, Lourdes, Santa Faustina), però:

non aggiungono nulla alla Rivelazione pubblica,

non sono obbligatorie per la fede,

non sono “ispirazione divina” nel senso biblico.

Come dice il Catechismo:

“La loro funzione non è di completare la rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente.” (CCC 67)

Quindi l’ispirazione biblica (apostoli e profeti)
è conclusa per sempre. La guida e assistenza dello Spirito Santo ai santi, ai papi, ai fedeli continua sempre. Le rivelazioni private sono possibili, ma non parte della dottrina ufficiale obbligatoria.

IL SACERDOZIO FEMMINILE: DOMANDE E RISPOSTE SEMPLICI

A cura di Giuseppe Monno

1. La Chiesa cattolica ammette il sacerdozio femminile?

No. La Chiesa insegna in modo definitivo che non può conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne. Questa dottrina è stata ribadita da san Giovanni Paolo II nella Ordinatio Sacerdotalis (1994).

2. Perché la Chiesa non può ordinare le donne sacerdoti?

Perché Cristo, istituendo il ministero apostolico, scelse liberamente solo uomini come apostoli. La Chiesa non ritiene di avere l’autorità per cambiare ciò che Cristo ha stabilito.

3. La scelta di Gesù fu solo culturale?

No. Gesù ha infranto spesso le convenzioni culturali del suo tempo e ha mostrato grande libertà nel rapporto con le donne. Tuttavia, quando istituì il gruppo dei Dodici, scelse solo uomini per la missione apostolica.

4. Le donne ebbero un ruolo importante nella Chiesa primitiva?

Sì. Donne come Maria, Madre di Gesù, Maria Maddalena, Febe e Priscilla furono fondamentali nella vita della Chiesa. Ma nessuna ricevette il ministero sacerdotale o la successione apostolica mediante imposizione delle mani.

5. I Padri della Chiesa parlavano di sacerdozio femminile?

No. Tutti i Padri della Chiesa confermarono l’esclusività maschile del sacerdozio. Pur valorizzando il ruolo delle donne, ribadirono che l’Ordine sacro appartiene alla Tradizione ricevuta da Cristo.

6. Le diaconesse dei primi secoli erano sacerdotesse?

No. Le diaconesse svolgevano compiti di servizio, soprattutto verso le donne, ma non ricevevano l’Ordine sacro e non esercitavano funzioni sacerdotali. Lo confermano anche i concili antichi, come Nicea I e Calcedonia.

7. Alcune epigrafi antiche parlano di donne presbitere o episcope: erano sacerdotesse?

No. Gli studi più seri mostrano che:

presbitera indicava spesso la moglie di un presbitero,

episcopa era un titolo onorifico (madre, moglie o benefattrice di un vescovo).

Non esistono prove di donne ordinate presbitere o vescovi nella Chiesa cattolica o ortodossa antica.

8. Il simbolismo sponsale ha un ruolo nella dottrina?

Sì. Il sacerdote agisce in persona Christi Capitis, cioè nella persona di Cristo Sposo che dona la vita alla Chiesa, sua Sposa. Questo simbolismo nuziale appartiene alla natura stessa del sacramento e non può essere cambiato.

9. Dire che la donna non può essere sacerdote significa considerarla inferiore?

Assolutamente no. La differenza dei ruoli non implica inferiorità. La Chiesa insegna che uomini e donne hanno pari dignità ma missioni diverse, come ricorda san Paolo parlando delle diverse membra del corpo (1 Corinzi 12).

10. La Pontificia Commissione Biblica del 1976 era favorevole all’ordinazione femminile?

No. Il documento diceva solo che la Scrittura da sola non dà una prova definitiva. Ma la Chiesa interpretò immediatamente quel testo alla luce della Tradizione (Inter Insigniores) e ribadì che non può ordinare le donne.

11. La Chiesa potrebbe cambiare idea in futuro?

No. Ordinatio Sacerdotalis afferma che questa dottrina deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli. Non si tratta di una disciplina modificabile, ma di un elemento essenziale della struttura sacramentale voluta da Cristo.

12. Se a una donna è negato il sacerdozio, quale ruolo le rimane nella Chiesa?

Un ruolo immenso e insostituibile. Le donne partecipano alla missione della Chiesa attraverso:

la vita familiare e la maternità spirituale,

la consacrazione religiosa,

l’insegnamento e la catechesi,

i servizi caritativi,

incarichi pastorali e di governo non legati all’Ordine sacro.

La Chiesa riconosce il genio femminile come essenziale alla sua vita.

13. Perché allora oggi si parla tanto del sacerdozio femminile?

Perché viviamo in un contesto che tende a leggere tutto in chiave di diritti e uguaglianza sociologica. Ma i sacramenti non sono diritti: sono doni divini che la Chiesa deve custodire così come li ha ricevuti.

14. Qual è il punto conclusivo della dottrina cattolica?

La Chiesa non rifiuta il sacerdozio femminile per motivi storici, culturali o sociali, ma perché non ha ricevuto da Cristo l’autorità di conferirlo. La fedeltà a questa volontà è un atto di obbedienza e amore verso il Signore.

CONCILIO DI NICEA I

A cura di Giuseppe Monno

Il Concilio di Nicea I, celebrato nel 325 nella città di Nicea (l’attuale İznik, in Turchia), rappresenta il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa e uno dei momenti più decisivi nella definizione della fede cristiana. Fu convocato dall’imperatore Costantino, desideroso di ristabilire l’unità religiosa e politica dell’Impero, turbata dalle accese controversie teologiche sorte attorno all’insegnamento di Ario, presbitero di Alessandria.

Ario sosteneva che il Figlio di Dio, pur essendo la creatura più eccellente e superiore a tutte le altre, non fosse eterno come il Padre. Secondo lui, «ci fu un tempo in cui il Figlio non era» ed egli era dunque creato, non generato, e quindi inferiore al Padre. Questa dottrina, nota come arianesimo, metteva in discussione il cuore stesso del cristianesimo: se Cristo non è pienamente Dio, allora neppure la salvezza portata da Lui può essere pienamente divina ed efficace per l’umanità.

Contro Ario si schierarono con forza il vescovo Alessandro di Alessandria e il suo giovane e brillante diacono Atanasio, destinato a diventare uno dei più grandi difensori dell’ortodossia cristiana. Essi affermavano che il Figlio è eterno come il Padre, realmente Dio, non inferiore né diverso per natura, ma uguale a Lui nella divinità.

Sebbene la questione ariana fosse la principale ragione del concilio, essa non fu l’unica. Costantino e i vescovi erano consapevoli che la Chiesa, uscita da poco dalle dure persecuzioni imperiali, era attraversata da numerose divisioni. In Egitto, ad esempio, era in corso il cosiddetto scisma meleziano, guidato da Melezio di Licopoli, che aveva creato una gerarchia parallela, ordinando vescovi e sacerdoti senza l’autorizzazione del vescovo legittimo di Alessandria. Questo scisma rappresentava una seria minaccia all’unità ecclesiale e richiedeva una soluzione ufficiale e condivisa.

Un’altra questione importante riguardava la data della celebrazione della Pasqua. In alcune regioni si seguiva ancora il calendario ebraico, mentre in altre la festa veniva celebrata di domenica. Questa differenza causava confusione e divisione tra le comunità cristiane. Il concilio stabilì dunque che la Pasqua dovesse essere celebrata nello stesso giorno in tutta la Chiesa, di domenica, e in modo indipendente dal calendario ebraico, come segno visibile di unità.

Vi era inoltre la necessità di stabilire una disciplina comune per tutta la Chiesa, poiché le comunità cristiane, diffuse in territori vastissimi, seguivano spesso usi e regole diverse per quanto riguardava l’ordinazione dei chierici, la vita morale, le penitenze e l’organizzazione interna. Il concilio intervenne quindi anche su questi aspetti pratici e organizzativi.

Il punto centrale delle decisioni dottrinali del Concilio fu l’affermazione che il Figlio è “consustanziale” al Padre, utilizzando il termine greco “homoousios”, che significa “della stessa sostanza”. Con questa parola i padri conciliari dichiararono in modo definitivo che Gesù Cristo non è una creatura, per quanto eccelsa, ma è veramente Dio, della stessa natura divina del Padre. La dottrina ariana fu condannata come eretica e Ario, insieme ad alcuni suoi sostenitori, fu escluso dalla comunione ecclesiale.

Dal Concilio nacque anche il Simbolo di Nicea, una solenne professione di fede che costituisce ancora oggi uno dei pilastri della dottrina cristiana. In esso si proclama: «Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente… e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, unigenito del Padre… Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre». Questo testo divenne un riferimento essenziale nella lotta contro tutte le eresie che, nel corso dei secoli, avrebbero messo in discussione la natura divina di Cristo.

Oltre alla definizione di fede, il Concilio promulgò anche venti canoni disciplinari, destinati a regolare la vita e l’organizzazione della Chiesa. Essi stabilivano, tra le altre cose, che un vescovo dovesse essere consacrato da almeno tre vescovi con il consenso del metropolita; vietavano al clero comportamenti scandalosi, come la convivenza con donne non legate da vincoli familiari; proibivano l’usura tra i chierici e il trasferimento arbitrario di vescovi e sacerdoti da una diocesi all’altra. Venivano inoltre stabilite le condizioni per la riammissione di coloro che avevano rinnegato la fede durante le persecuzioni (i cosiddetti lapsi) e di chi apparteneva a gruppi considerati scismatici o eretici, come i novaziani e i paoliniani. Un ultimo canone stabiliva che durante la domenica e nel tempo pasquale si dovesse pregare in piedi e non in ginocchio, perché la posizione eretta era considerata segno di gioia e di risurrezione.

Il ruolo di Atanasio, successivamente divenuto vescovo di Alessandria, fu decisivo nei decenni seguenti. Nonostante ripetuti esili, persecuzioni e il ritorno dell’arianesimo favorito da alcuni imperatori, egli rimase fermo nella difesa della fede nicena, contribuendo in modo determinante alla sua affermazione definitiva.

L’arianesimo, infatti, non scomparve immediatamente: continuò a diffondersi per lungo tempo, soprattutto tra alcuni popoli germanici, e trovò appoggi politici anche dopo il concilio. Tuttavia, grazie all’opera di vescovi, teologi e successivi concili, la dottrina nicena prevalse e si affermò come fondamento della fede cristiana ortodossa.

Oggi il Concilio di Nicea I è riconosciuto come un evento fondamentale non solo dalla Chiesa cattolica e dalle Chiese ortodosse, ma anche da molte confessioni protestanti. La sua eredità continua a plasmare la comprensione cristiana della Trinità e della piena divinità di Gesù Cristo, rendendolo uno dei momenti più importanti e decisivi dell’intera storia del cristianesimo.

CONCILIO VATICANO II: DOMANDE E RISPOSTE SEMPLICI

A cura di Giuseppe Monno

Domande e Risposte semplici, pensare per cattolici che desiderano conoscere il Concilio Vaticano II:

  1. Che cos’è il Concilio Vaticano II?

È il Ventunesimo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato da Papa Giovanni XXIII e celebrato dal 1962 al 1965, per rinnovare la vita della Chiesa e annunciare meglio il Vangelo nel mondo moderno.

  1. Perché è stato convocato?

Per “aggiornare” la Chiesa: non per cambiare la fede, ma per presentarla con più chiarezza e vicinanza alle persone del nostro tempo.

  1. C’erano problemi dottrinali gravi?

No. A differenza di altri Concili, il Vaticano II fu convocato non per condannare eresie ma per una rinnovata evangelizzazione.

  1. Quali furono le motivazioni principali?

Rinnovare la pastorale della Chiesa,

favorire l’unità dei cristiani,

rafforzare lo slancio missionario,

interpretare i “segni dei tempi” alla luce del Vangelo.

  1. Chi partecipò al Concilio?

Migliaia di vescovi provenienti da tutto il mondo, segno concreto della cattolicità della Chiesa.

  1. Quali sono i documenti più importanti del Concilio?

Le quattro Costituzioni:

Dei Verbum, sulla Rivelazione divina;

Lumen Gentium, sulla Chiesa come Popolo di Dio;

Sacrosanctum Concilium, sulla liturgia;

Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.

  1. Come ha rinnovato la liturgia?

Ha promosso una partecipazione più attiva dei fedeli, una maggiore centralità della Parola di Dio e una celebrazione più comprensibile, mantenendo gli elementi essenziali della fede.

  1. Cosa ha insegnato sulla santità?

Che tutti i battezzati sono chiamati alla santità, non solo sacerdoti e religiosi.

  1. Qual è stata la visione della missione?

La Chiesa è chiamata a portare Cristo ovunque, specialmente tra i più lontani e bisognosi.

  1. Cosa ha detto sull’unità dei cristiani?

Ha incoraggiato il dialogo ecumenico, riconoscendo il bene nelle altre confessioni cristiane senza rinunciare alla verità cattolica.

  1. E sul dialogo con le religioni non cristiane?

Nostra Aetate invita a un dialogo rispettoso, affermando comunque che Cristo è l’unico Salvatore.

  1. Che ruolo riconosce ai laici?

Un ruolo fondamentale: portare il Vangelo nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro e nella società.

  1. Il Concilio ha cambiato la dottrina?

No. Ha rinnovato il modo di presentare la stessa fede immutabile.

  1. Perché i tradizionalisti criticano il Concilio Vaticano II?

Per molti il Concilio è un punto di tensione con la Chiesa attuale.

  1. Perché la riforma liturgica crea problemi a molti tradizionalisti?

Perché alcuni ritengono che il nuovo rito della Messa:

sia meno solenne e meno centrato sul sacrificio,

ricordi troppo i culti protestanti,

sia più “orientato all’assemblea” che a Dio.

Vedono un cambiamento troppo grande rispetto alla liturgia tradizionale romana.

  1. Perché criticano l’ecumenismo del Concilio?

Temono che l’apertura verso altre confessioni cristiane possa indebolire l’idea che la pienezza della verità si trova nella Chiesa cattolica.

  1. Perché sono preoccupati per il dialogo interreligioso?

Temono che alcuni gesti possano essere fraintesi come se “tutte le religioni fossero uguali”, cosa che la Chiesa non insegna ma che essi vedono come rischio.

  1. Perché contestano la dottrina sulla libertà religiosa?

Pensano che Dignitatis Humanae, parlando di libertà religiosa come diritto umano, contraddica l’antico insegnamento secondo cui lo Stato dovrebbe riconoscere la vera religione.

  1. Cosa intendono per ambiguità dottrinali?

Ritengono che alcuni testi del Concilio siano formulati in modo vago e possano essere letti in modi diversi, favorendo interpretazioni moderniste.

  1. Che cosa criticano nello spirito del Concilio?

Molte innovazioni post-Concilio — non previste dai documenti — sono state fatte “lin nome del Concilio: catechesi deboli, abusi liturgici, teologie confuse.
I tradizionalisti dicono:
Il Concilio non voleva tutto questo, ma lo ha reso possibile.

  1. Collegano la crisi della Chiesa al Concilio?

Molti sì. Notano che dopo il 1965 si verificarono:

calo delle vocazioni,

abbandono della pratica religiosa,

chiusura di conventi,

confusione liturgica.

Non tutti danno la colpa al Concilio, ma molti lo vedono come un fattore decisivo.

  1. Perché criticano l’apertura verso il mondo moderno?

Perché ritengono che questa apertura abbia indebolito l’identità cattolica e favorito il secolarismo.

  1. Cosa significa dire che il Concilio è pastorale?

Che non definì nuovi dogmi, ma offrì orientamenti pastorali.
Alcuni tradizionalisti ritengono quindi che molte novità non fossero necessarie né vincolanti.

  1. In sintesi, come molti tradizionalisti vedono il Vaticano II?

Come:

una rottura con la Tradizione,

teologicamente ambiguo,

liturgicamente problematico,

causa (o occasione) della crisi post-conciliare,

troppo aperto verso la modernità.

  1. Qual è il valore del Vaticano II per la Chiesa?

Il significato del Concilio Vaticano II è valutato in modo diverso.
Per la Chiesa nel suo complesso, il Concilio è stato un momento importante di rinnovamento pastorale e di apertura missionaria, pensato per annunciare il Vangelo in un mondo in rapido cambiamento.
Per molti tradizionalisti, invece, il suo valore è controverso: riconoscono che il Concilio voleva rafforzare la vita cristiana, ma ritengono che alcune sue formulazioni e riforme abbiano introdotto ambiguità, abbiano indebolito la Tradizione e abbiano favorito la crisi che seguì negli anni successivi.

  1. Gli insegnamenti del Concilio valgono ancora oggi?

Sì. Il Concilio non è un evento chiuso, ma un cammino che continua a guidare la vita della Chiesa.

CONCILIO VATICANO I: DOMANDE E RISPOSTE SEMPLICI

A cura di Giuseppe Monno

Domande e Risposte semplici, pensate per cattolici che desiderano conoscere il Concilio Vaticano I:

1. Che cos’è il Concilio Vaticano I?

È il Ventesimo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato da Papa Pio IX nel 1869, a Roma, nella Basilica di San Pietro in Vaticano.

2. Perché fu convocato questo Concilio?

Il Concilio fu convocato perché nell’Ottocento molte idee mettevano in dubbio la fede: razionalismo, materialismo, liberalismo anticlericale. Inoltre gli Stati Pontifici stavano crollando e l’autorità del Papa era minacciata.

3. Quale problema principale voleva affrontare la Chiesa?

Voleva difendere la verità della fede e chiarire il ruolo del Papa e della rivelazione in un mondo che stava diventando sempre più scettico e secolarizzato.

4. Quali erano i due temi principali del Concilio?

Il rapporto tra fede e ragione.

Il ruolo del Papa e il suo servizio di guida per la Chiesa.

5. Che cosa insegna il documento Dei Filius?

Insegna che fede e ragione non sono nemiche: la ragione può conoscere Dio, ma la rivelazione completa ciò che l’uomo da solo non può capire.

6. Che cosa insegna Pastor Aeternus?

Parla del Papa come successore di Pietro e custode dell’unità nella Chiesa.

7. Che cosa ha definito il concilio riguardo al Papa?

Ha definito il dogma dell’infallibilità papale: il Papa, quando parla “ex cathedra” su fede e morale in modo definitivo, non può sbagliare perché assistito dallo Spirito Santo.

8. L’infallibilità significa che il Papa non sbaglia mai?

No. Significa solo che non può sbagliare quando definisce solennemente una verità di fede o di morale per tutta la Chiesa.

9. Perché il Concilio è stato interrotto?

A causa della guerra franco-prussiana e poi della presa di Roma nel 1870.

10. Quali effetti ha avuto il Concilio?

Ha rafforzato l’unità della Chiesa, ha chiarito il ruolo del Papa e ha difeso la fede cattolica dai principali errori dell’epoca.

11. Perché Vaticano I è importante ancora oggi?

Perché ha dato alla Chiesa basi sicure su fede, ragione e autorità del Papa, preparando anche il terreno per il Concilio Vaticano II.

CONCILIO DI TRENTO: DOMANDE E RISPOSTE SEMPLICI

A cura di Giuseppe Monno

Domande e Risposte semplici, pensate per cattolici che desiderano conoscere in modo chiaro il Concilio di Trento:

1. Che cos’è il Concilio di Trento?

È il Diciannovesimo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato da Papa Paolo III e celebrato a Trento e Bologna tra il 1545 e il 1563. Ha chiarito la dottrina cattolica e riformato la vita della Chiesa in un tempo di difficoltà e divisioni.

2. Perché è stato convocato?

Per rispondere alla Riforma protestante e per rinnovare la Chiesa, correggendo abusi e confusione presenti in quel periodo.

3. Quali erano i problemi principali dell’epoca?

Alcuni abusi nel clero, poca formazione religiosa, una predicazione debole e le nuove dottrine protestanti che mettevano in discussione temi fondamentali della fede.

4. Dove si è svolto?

A Trento, una città considerata neutrale e adatta ad accogliere vescovi provenienti da diverse parti d’Europa. Ma temporaneamente anche a Bologna, dal 1547 al 1549.

5. Quanto è durato?

È durato 18 anni, ma con lunghe pause dovute a problemi politici, cambi di Papa e difficoltà logistiche.

6. Cosa ha detto il Concilio sulla fede?

Ha riaffermato verità centrali come:

Scrittura e Tradizione insieme come fonti della Rivelazione,

la giustificazione come dono di Dio che trasforma la persona;l,

i sette sacramenti istituiti da Cristo,

la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia,

il valore della Messa come sacrificio.

7. Cosa ha deciso riguardo alla vita della Chiesa?

Ha richiesto una riforma del clero:

fondazione dei seminari per formare bene i sacerdoti,

obbligo per i vescovi di vivere nella loro diocesi,

cura della predicazione,

liturgie celebrate con dignità.

8. Il Concilio serviva solo per rispondere ai protestanti?

No. Serviva anche a rinnovare la Chiesa dall’interno, purificare ciò che non andava e rafforzare la vita spirituale dei fedeli.

9. Quali effetti ha avuto?

Ha rilanciato la catechesi, la vita sacramentale, la formazione dei sacerdoti e ha dato alla Chiesa nuova unità e slancio missionario.

10. Perché è importante ancora oggi?

Perché ha offerto una sintesi chiara della fede cattolica e ha mostrato come la Chiesa possa riformarsi restando fedele al Vangelo e guidata dallo Spirito Santo.

CONCILIO LATERANENSE V: DOMANDE E RISPOSTE SEMPLICI

A cura di Giuseppe Monno

Domande e Risposte semplici, pensate per cattolici che desiderano conoscere in modo chiaro il Concilio Lateranense V:

1. Che cos’è il Concilio Lateranense V?

È il Diciottesimo Concilio ecumenico della Chiesa cattolica, convocato nel 1512 a Roma da Papa Giulio II e portato a termine nel 1517 da Papa Leone X, poco prima della Riforma protestante.

2. Perché è stato convocato?

Per affrontare problemi interni alla Chiesa, riformare il clero e rispondere a tentativi politici che volevano mettere in discussione l’autorità del Papa.

3. Qual era la situazione della Chiesa in quel periodo?

C’erano debolezze spirituali nel clero, abusi come la simonia, poca formazione e anche forti pressioni politiche da parte dei governi europei.

4. Perché si parlava di riforma?

Perché molti fedeli e pastori sentivano l’urgenza di rinnovare la vita cristiana e rendere più santo e credibile l’annuncio del Vangelo.

5. Quali temi principali ha affrontato il Concilio?

Migliorare la vita morale e spirituale del clero,

rinnovare la disciplina nei monasteri,

difendere verità dottrinali, come l’immortalità dell’anima,

orientare l’uso dei libri e della stampa,

promuovere la pace tra i cristiani.

6. Il Concilio ha avuto risultati immediati?

Alcuni sì, come la riaffermazione dell’autorità del Papa e di verità dottrinali fondamentali.
Molte riforme, però, non furono applicate subito.

7. Perché il Concilio viene considerato in parte incompiuto?

Perché le riforme proposte non ebbero il tempo o la forza di entrare pienamente nella vita della Chiesa prima che scoppiasse la Riforma protestante nel 1517.

8. Che relazione c’è tra il Concilio Lateranense V e il Concilio di Trento?

Il Concilio Lateranense V indicò la necessità di riforme; il Concilio di Trento, qualche decennio dopo, le realizzò con maggior decisione e completezza.

9. Qual è il significato spirituale del Concilio Lateranense V per i cattolici di oggi?

Ricorda che la Chiesa ha sempre bisogno di rinnovarsi nella fedeltà al Vangelo e che l’unità attorno al Papa è essenziale nei tempi di crisi.

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