A cura di Giuseppe Monno

Una delle accuse più ricorrenti contro la Chiesa cattolica è quella secondo cui, nel passato, essa avrebbe vietato al popolo la lettura della Sacra Scrittura. Tale affermazione, ripetuta spesso senza contesto né fondamento, nasce da un fraintendimento storico e da una visione ridotta della missione della Chiesa.
In realtà, la Chiesa non ha mai temuto la Parola di Dio: essa ne è la custode, la traduttrice e la trasmettitrice. Se oggi possediamo la Bibbia, è perché per secoli monaci, chierici e studiosi cattolici ne hanno copiato con cura i manoscritti, custodendoli nei monasteri mentre gran parte dell’Europa era devastata da guerre e carestie.
Il problema non era la Bibbia, ma l’interpretazione arbitraria
Quando, nel Medioevo e nei secoli successivi, alcuni testi vennero soggetti a restrizioni, lo scopo non era quello di “proibire la Bibbia”, ma di proteggerne il senso autentico. L’esperienza mostrava che una lettura senza formazione teologica e senza guida ecclesiale conduceva facilmente a eresie e scismi. La stessa Scrittura ammonisce: “Nessuna scrittura profetica può essere oggetto di privata spiegazione” (2Pietro 1,20).
La Chiesa, quindi, agiva non per tenere la Parola di Dio lontana dal popolo, ma per custodirla da interpretazioni che avrebbero potuto deformarla.
La questione delle traduzioni
Alcuni dicono: “La Chiesa cattolica proibiva le traduzioni in lingua volgare”. Anche questo è un mito parziale. La Chiesa non vietava le traduzioni in sé, ma esigeva che fossero fedeli e approvate. In un’epoca in cui la stampa non esisteva e ogni copia era trascritta a mano, errori o manipolazioni testuali potevano diffondersi facilmente. Per questo, il Concilio di Trento (1545–1563) chiese che le traduzioni fossero verificate per evitare abusi, specialmente dopo che alcune versioni private della Bibbia venivano usate per sostenere dottrine contrarie alla fede apostolica.
La Bibbia nel cuore della liturgia
Ben lontana dal vietare la Bibbia, la Chiesa ne ha fatto il cuore della sua vita quotidiana. Ogni Messa è intessuta di letture bibliche, Salmi, Vangelo e omelie basate sulla Parola di Dio. Da secoli, milioni di fedeli ascoltano la Bibbia proclamata e spiegata nella lingua che comprendono, attraverso la predicazione. Il monachesimo benedettino e la liturgia delle Ore hanno poi mantenuto viva la Parola di Dio giorno e notte. Se la Bibbia fosse stata vietata, non avremmo avuto né la Lectio Divina, né l’arte sacra, né la teologia cristiana fondata sulla Scrittura.
La libertà vera nasce dalla verità
Il mito del divieto cattolico nasce da una lettura moderna e individualista della fede, che riduce la libertà a un possesso privato. Ma la Chiesa comprende la libertà come comunione nella verità: leggere la Bibbia è un atto ecclesiale, non isolato. È la Chiesa, Corpo di Cristo, che ci dona la Scrittura, la interpreta e la vive. Per questo, il Concilio Vaticano II ha riaffermato con forza: “È necessario che tutti i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura” (Dei Verbum, 22). Non è un’invenzione recente, ma la continuità di una custodia millenaria.
Conclusione
Dire che la Chiesa ha proibito la Bibbia è come dire che una madre ha proibito ai figli di mangiare perché raccomanda loro di non nutrirsi di cibo avariato. La Chiesa, madre e maestra, non ha mai temuto la Parola di Dio, ma ha sempre vegliato affinché fosse trasmessa pura, integra e feconda per la salvezza delle anime. Chi oggi apre la Bibbia in qualsiasi lingua deve, consapevolmente o no, ringraziare quella stessa Chiesa che per secoli l’ha custodita con amore, anche a costo della vita dei suoi figli.