«Il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, e disse: “Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, ti prego, non passare oltre il tuo servo.”»
La visione dei tre uomini che Abramo vide alle querce di Mamre è ricca di significato teologico e ha ricevuto una forte attenzione da parte della tradizione patristica e della Chiesa cattolica.
Molti Padri della Chiesa hanno letto questo episodio come una teofania, cioè una manifestazione di Dio, e vi hanno visto un mistero trinitario.
Sant’Ambrogio commenta che Abramo adorò uno solo come Signore, mentre gli altri due sono angeli che poi furono inviati a Sodoma (De Abraham, I, IV, 20-21).
Sant’Agostino nella sua opera De Trinitate, propone che tutti e tre rappresentino Dio, ma è uno solo che parla come il Signore. Egli insiste che non si deve pensare a tre dèi, ma a un solo Dio in tre persone che si manifesta simbolicamente (De Trinitate, II, 11, 20-21).
Origene vede tra i tre uomini il Verbo (il Figlio) pre-incarnato e due angeli come accompagnatori (Homiliae in Genesim, Homiliae IV, 5-6).
San Giovanni Damasceno (De Fide Orthodoxa, III, 11) afferma che Dio si manifestò ai santi uomini dell’Antico Testamento, non secondo l’essenza, ma secondo una teofania.
La Chiesa cattolica, nella sua lettura tradizionale, vede questo passo come una teofania, non una piena rivelazione della Trinità, ma piuttosto una prefigurazione. Il Catechismo non commenta direttamente Genesi 18, ma nei suoi paragrafi sulla Trinità e sulle teofanie dell’Antico Testamento, afferma:
«Dio si è rivelato gradualmente… Il mistero della sua vita trinitaria è stato reso noto pienamente solo con l’Incarnazione del Figlio e la venuta dello Spirito Santo.» (CCC 684-689)
Non è una rivelazione piena della Trinità (che avverrà solo in Cristo), ma è compatibile con una lettura simbolica o tipologica trinitaria.
La Chiesa è il Corpo Mistico di Gesù Cristo, nata dal Suo fianco trafitto sulla Croce e vivificata dallo Spirito Santo. Essa si compone di tre realtà inseparabili e mistiche: la Chiesa militante, la Chiesa sofferente e la Chiesa trionfante.
La Chiesa militante
La Chiesa militante è formata da coloro che ancora vivono su questa terra, pellegrini verso la patria celeste, combattenti nella battaglia spirituale contro il peccato, il mondo e il demonio (Filippesi 3,20; Efesini 6,12). In essa si distingue una duplice realtà: la Chiesa docente e la Chiesa discente.
La Chiesa docente comprende il Papa, successore di San Pietro, e il collegio dei vescovi in comunione con lui. Essi sono i pastori posti da Cristo per insegnare, governare e santificare il popolo di Dio. Il loro ministero, illuminato e custodito dallo Spirito Santo, garantisce la trasmissione integra e autentica della fede apostolica.
La Chiesa discente è costituita dai fedeli che, con animo docile e cuore aperto, ricevono l’insegnamento della Chiesa, si nutrono della Parola e dei Sacramenti, e offrono la loro vita quotidiana come sacrificio gradito a Dio. Anch’essi partecipano, per virtù battesimale, al sacerdozio comune dei fedeli, testimoniando Cristo nel mondo con la parola e con la vita.
La Chiesa sofferente
La Chiesa sofferente è composta dalle anime del Purgatorio, giuste ma non ancora pienamente purificate, che attendono l’ingresso nella visione beatifica. Esse non possono più meritare per sé stesse, ma possono ricevere aiuto dalla carità della Chiesa militante, attraverso preghiere, penitenze, indulgenze e soprattutto la Santa Messa, offerta in suffragio.
Queste anime, pur immerse nella sofferenza purificatrice, sono già salve e profondamente unite a Cristo. Offrono le loro pene con amore, e intercedono anch’esse per noi, partecipando alla comunione dei santi (cf. Supplementum alla Summa Theologiae, q. 72, a. 2).
La Chiesa trionfante
La Chiesa trionfante è la Chiesa glorificata: i santi e gli angeli in Paradiso che contemplano faccia a faccia Dio, Uno e Trino. Essi vivono nell’eterna beatitudine, ma non sono estranei alla vita del mondo. Al contrario, sono attivamente coinvolti nell’economia della salvezza, intercedendo per la Chiesa militante e accogliendo nella gioia le anime della Chiesa sofferente che giungono alla gloria.
Il loro canto di lode non conosce interruzione, e nel Mistero dell’Eucaristia si uniscono all’assemblea terrena, rendendo presente in ogni Messa la liturgia celeste.
La Santa Messa: cuore pulsante della Chiesa
La Santa Messa è il cuore vivente della Chiesa. In essa si rinnova, in modo incruento, il sacrificio di Cristo sul Calvario. Ogni Messa è offerta al Padre, per Cristo, con Cristo e in Cristo, nella potenza dello Spirito Santo.
Essa è il punto di convergenza di tutta la Chiesa: la Chiesa militante celebra e partecipa sacramentalmente; la Chiesa sofferente riceve i frutti del sacrificio redentore; la Chiesa trionfante adora e si unisce al sacrificio eterno dell’Agnello.
Quando si celebra la Messa, il tempo si apre all’eternità, e il Cielo scende sulla terra. Sull’altare non vi è solo pane e vino, ma il Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo. Nessuna Messa è mai “solitaria”: anche se l’assemblea visibile fosse assente, l’assemblea invisibile del Cielo è presente in tutta la sua gloria.
La comunione dei santi
Tutti i membri del Corpo Mistico, vivi e defunti, sono uniti da un vincolo di carità soprannaturale che supera ogni barriera. Questa è la comunione dei santi: un misterioso scambio di grazie, preghiere, meriti e intercessioni.
I santi intercedono per noi, le anime del Purgatorio ricevono il nostro aiuto e pregano a loro volta, e noi siamo chiamati a vivere uniti, non solo nella fede, ma nell’amore operoso che sostiene, incoraggia e solleva ogni membro del Corpo di Cristo.
Maria, Madre della Chiesa
In questo mistero sublime, la Vergine Maria occupa un posto singolare. Ella è Madre della Chiesa, Regina degli Apostoli, Avvocata delle anime del Purgatorio, Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie. Presente spiritualmente ad ogni Santa Messa, offre il Figlio al Padre come un tempo sul Calvario, unita al sacrificio redentore.
Maria accompagna la Chiesa militante nel suo pellegrinaggio, consola la Chiesa sofferente con la sua materna intercessione, e regna con la Chiesa trionfante in cielo. Ella è la Stella del Mattino che guida i fedeli verso il porto della salvezza, il modello perfetto di fede e obbedienza a Dio.
Conclusione
Chi comprende il mistero della Chiesa e vive con fede la Santa Messa, entra già ora nella vita eterna. In essa troviamo Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, che si dona incessantemente al Padre per amore nostro. Uniti a Lui e in comunione con tutti i santi e le anime sante, camminiamo nella speranza, fino al giorno in cui, superata la milizia terrena, entreremo nella gloria della Gerusalemme celeste, dove Dio sarà tutto in tutti.
Giuseppe Monno, autore del blog Cristiani Cattolici Romani su WordPress, e sulle omonime pagine Facebook e Quora
Genesi 1,26-27
E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.
Nella teologia cattolica, l’essere umano “a immagine e somiglianza di Dio” significa che l’uomo e la donna partecipano in modo unico alla natura divina, non per essenza ma per dignità, intelligenza, libertà e capacità di amare.
L’uomo ha un’anima spirituale e immortale. È dotato di intelligenza e volontà libera. Ha la capacità di conoscere la verità e di amare il bene.
La “somiglianza” non è solo uno stato ontologico, ma anche una vocazione morale: l’uomo è chiamato a diventare sempre più simile a Dio attraverso la vita di grazia.
Secondo i Padri della Chiesa, l’immagine è data alla creazione, mentre la somiglianza può crescere o diminuire a seconda della risposta dell’uomo alla grazia di Dio.
L’uomo è immagine di Dio non solo come individuo, ma anche nella relazione: “Maschio e femmina li creò.” Come Dio è comunione di Persone (Trinità), anche l’uomo è fatto per la comunione, con Dio e con il creato.
L’essere a immagine di Dio include anche il compito di governare il creato con saggezza e amore, come Dio stesso governa il mondo. Il dominio non è dominio tirannico, ma custodia e servizio, secondo il modello di Dio.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) tratta estesamente questo tema ai numeri 1701-1715, tra cui:
CCC 1701: “La dignità della persona umana è radicata nella sua creazione a immagine e somiglianza di Dio.”
CCC 1703: “Dotata di un’anima spirituale e immortale, la persona è l’unica creatura sulla terra che Dio abbia voluto per se stessa.”
CCC 1704: “La persona partecipa alla luce e alla forza dello Spirito divino.”
CCC 1705: “Dotato di ragione, l’uomo è capace di comprendere l’ordine delle cose stabilito dal Creatore; dotato di volontà, può tendere verso il suo vero bene.”
In sintesi, essere “a immagine e somiglianza di Dio” significa: Possedere intelligenza, volontà, libertà e coscienza morale. Essere capaci di relazione e di amore. Avere una dignità unica e inviolabile. Essere chiamati a diventare Santi, partecipando alla vita divina. Essere custodi del creato, secondo il modello di Dio.
La preghiera di supplica non serve per cambiare Dio, ma per cambiare noi. Dio non ha bisogno delle nostre preghiere, siamo noi ad averne bisogno.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma:
«Se tu conoscessi il dono di Dio!” (Giovanni 4,10). La meraviglia della preghiera si rivela proprio là, presso il pozzo dove noi andiamo a cercare la nostra acqua: è là che Cristo viene incontro a ogni essere umano… È Lui che ci cerca per primo e ci chiede da bere. Gesù ha sete; la sua domanda scaturisce dalle profondità di Dio che ci desidera.» (CCC 2560)
Dio ci invita a pregare perché ci ama e vuole che entriamo in relazione con Lui. Come ogni padre buono, vuole il dialogo.
La preghiera di supplica ci rende umili e fiduciosi. Pregare significa riconoscere di avere bisogno, uscire dalla presunzione di autosufficienza, e aprirsi alla grazia. È un atto di fiducia filiale.
«La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni convenienti.» (CCC 2559).
La supplica, in particolare, è una scuola di umiltà e di fede. Non serve a informare Dio, ma a disporre noi stessi ad accogliere i suoi doni.
Dio vuole coinvolgerci nella sua Provvidenza. Sebbene sappia tutto e possa tutto, Dio ha scelto liberamente di agire anche attraverso le nostre preghiere. È un mistero di cooperazione.
San Tommaso d’Aquino, scrive: «Non preghiamo per cambiare il piano divino, ma perché Dio ha stabilito che certi beni vengano concessi solo attraverso la preghiera.» (Summa Theologiae, II-II, q. 83, a. 2)
In altre parole, Dio ha incluso la preghiera nel suo disegno eterno. Non forziamo Dio a fare qualcosa, ma partecipiamo alla sua opera con la libertà che Lui stesso ci ha donato.
La preghiera non cambia Dio, ma cambia noi. Sant’Agostino dice: «La preghiera non serve a informare Dio, ma a disporre noi a ricevere ciò che Egli già vuole darci.» (cfr. Lettera 130 a Proba, cap. 8, §17; Sermone sul Monte 2.3.14, commentando Matteo 6)
Pregando, diventiamo più sensibili alla volontà di Dio, più capaci di accoglierla. È come accordare il nostro cuore al cuore di Dio.
Gesù Cristo, nel Getsemani, ha pregato supplicando il Padre con forti grida e lacrime (Ebrei 5,7). Se Cristo stesso ha pregato così, non per cambiare il Padre, ma per compiere la sua missione (Luca 22,42), allora anche noi siamo chiamati a vivere la preghiera come parte del nostro cammino di fede.
Dio non ha bisogno delle nostre preghiere, ma le desidera. Perché è nel dialogo con Lui che cresciamo come figli. Perché la preghiera ci educa, ci libera, ci modella, e ci rende collaboratori della sua volontà d’amore.
«Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto… Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!»
Questa è una promessa reale, ma non è una promessa magica o automatica. Dio è Padre, non un distributore automatico di grazie. E come ogni padre buono, dona solo ciò che è veramente bene per il figlio, anche quando il figlio chiede qualcosa che crede sia bene, ma non lo è.
Quando si dice: “Non era la volontà del Signore”, non è una scusa per giustificare il silenzio di Dio, ma il riconoscimento che la saggezza e la visione di Dio superano la nostra. La preghiera cristiana autentica non è solo una richiesta, ma un affidamento, come nel Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà» (Matteo 6,10).
Gesù stesso sottomette la propria volontà a quella del Padre, pur nella sofferenza, tant’è che nel Getsemani prega ripetendo più volte le stesse parole: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua.» (Luca 22,42)
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) insegna che per essere esaudita, la preghiera deve avere alcune caratteristiche fondamentali:
Fede – CCC 2610: Gesù ha pregato: spesso, a lungo, in segreto, e con cuore ardente. L’insegnamento di Gesù sulla preghiera implica la fede. Gesù dice: «Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato.» (Marco 11,24)
Perseveranza – CCC 2730 e 2742-2744: Non scoraggiarsi se la risposta tarda ad arrivare (cfr. Luca 18,1-8, la parabola della vedova insistente).
Conformità alla volontà di Dio – CCC 2736 e 2825: «Qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti.» (1 Giovanni 3,22).
Cuore riconciliato – CCC 2615 e 2840: Il perdono verso gli altri è condizione per ricevere (cfr. Marco 11,25).
Dio risponde sempre, ma non sempre come noi immaginiamo. La Chiesa insegna che Dio risponde sempre alla preghiera, ma le risposte possono essere:
Sì: riceviamo ciò che abbiamo chiesto.
Non ora: Dio sa che il tempo non è maturo.
Ho qualcosa di meglio: ciò che chiediamo può essere buono ai nostri occhi, ma Dio vede oltre.
No: perché ciò che chiediamo potrebbe farci male o allontanarci da Lui.
La fede matura non misura l’amore di Dio dai risultati visibili. Una preghiera non esaudita non significa che Dio non ascolti o non ami. Pensiamo a tanti Santi che hanno vissuto lunghi periodi di silenzio o di sofferenze non rimosse (p. es. San Paolo e la «spina nella carne», 2 Corinzi 12,7-9).
La preghiera è relazione, non transazione. Dio non è obbligato a darci tutto ciò che chiediamo, ma promette di donarci sempre ciò che è bene per la nostra salvezza. La preghiera ci trasforma, ci rende più simili a Cristo, più capaci di accogliere la volontà del Padre.
Il racconto della maledizione del fico da parte di Gesù è carico di significato simbolico e spirituale. L’episodio si trova nei Vangeli sinottici, in particolare in Marco 11,12-14 e Matteo 21,18-22.
Gesù, avendo fame, si avvicina a un albero di fico per cercarvi dei frutti. Non trovando altro che foglie – poiché non era la stagione dei fichi – lo maledice dicendo:
«Nessuno mai più mangi frutto da te!» (Marco 11,14)
Il giorno seguente, i discepoli notano che l’albero è seccato fino alle radici.
Il significato simbolico
Il fico è spesso interpretato come simbolo di Israele, in particolare dei capi religiosi e del tempio. L’albero appare rigoglioso, ricco di foglie (cioè di esteriorità religiosa), ma privo di frutti (giustizia, fede, conversione autentica). Gesù denuncia una religione fatta solo di apparenze, priva di vera vita spirituale. Lo stesso tema è sviluppato anche nel capitolo 23 del Vangelo secondo Matteo, dove Gesù accusa i farisei di ipocrisia.
Per la Chiesa cattolica, il gesto di Gesù è un segno profetico: non si tratta di un miracolo distruttivo, ma di un’azione simbolica – simile a quelle dei profeti dell’Antico Testamento – destinata a insegnare una verità spirituale.
Un invito alla fecondità spirituale
Questo episodio invita ogni credente a produrre frutti di fede, carità e giustizia, non solo a “sembrare” buono. Il fico sterile rappresenta chi ha ricevuto la grazia – come Israele, o come un cristiano battezzato – ma non porta frutti. Come dice Gesù in Giovanni 15,2:
«Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia.»
Nel Vangelo secondo Marco, l’episodio è inserito tra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e la purificazione del Tempio: un chiaro segnale del giudizio su un culto religioso esteriore e sterile, che ha rifiutato il Messia.
Nel Vangelo di Matteo, invece, l’accento si sposta sul potere della fede. I discepoli si meravigliano di quanto accaduto, e Gesù risponde che con una fede autentica si possono compiere persino opere più grandi. La lezione, dunque, è duplice: evitare la sterilità spirituale e vivere una fede attiva, operosa.
Interpretazioni patristiche
Sant’Agostino vede nel fico la figura del popolo ebraico, che ha ricevuto la Legge, i Profeti e il Tempio, ma non ha riconosciuto il Cristo né portato frutti di fede:
«Il fico è la sinagoga, che ha le foglie (la Legge e i riti), ma non i frutti (la carità e la fede in Cristo).»
La maledizione del fico rappresenta il giudizio divino su chi rifiuta la salvezza pur avendone ricevuto i segni esteriori. Tuttavia, Agostino sottolinea che Gesù non agisce per vendetta, ma per insegnare e ammonire.
Origene, nel III secolo, legge il fico come simbolo dell’anima umana. L’albero rappresenta chi ha ricevuto doni spirituali (le foglie), ma non li ha fatti fruttare in opere di carità:
«Chi ha solo parole e non opere, è come l’albero con le foglie ma senza frutto.»
È un invito alla coerenza tra fede e vita: non si può professare Dio con le labbra e non portare frutti nella condotta.
San Giovanni Crisostomo, nel IV secolo, offre una lettura pedagogica: Cristo vuole educare i discepoli al valore della fede autentica:
«Non era tempo di fichi, ma era tempo di fede.»
Gesù non punisce l’albero per ingiustizia, ma utilizza il miracolo come una parabola vivente. Il fico rappresenta chi ha ricevuto tutto il necessario per credere, ma rimane sterile.
San Tommaso d’Aquino, nel XIII secolo, raccoglie e sintetizza le interpretazioni dei Padri della Chiesa, evidenziando il valore simbolico e profetico del gesto. L’albero seccato rappresenta il castigo spirituale che attende chi, pur avendo ricevuto la grazia, non porta frutti. La sua morte visibile serve a istruire gli apostoli e i lettori del Vangelo.
Un ammonimento escatologico
Nel suo libro Gesù di Nazaret, Benedetto XVI interpreta l’episodio come una parabola profetica in azione, simile a quelle dell’Antico Testamento. Scrive:
«Gesù mostra, in forma concreta, ciò che accade a una vita che non porta frutto.»
Il gesto ha un significato escatologico: preannuncia il giudizio di Dio, che chiederà conto dei frutti prodotti nella nostra vita.
Una chiamata alla conversione
La Chiesa cattolica invita a leggere questo passo in chiave spirituale e morale: essere cristiani “di nome” non basta. Bisogna vivere una fede concreta, autentica, fruttuosa. Gesù non cerca apparenze, ma una conversione vera del cuore.
La pazienza di Dio è grande, ma non è infinita: non si può rimandare all’infinito la risposta alla sua chiamata.
Il battesimo vicario (o battesimo per i morti) è una pratica religiosa in cui una persona vivente si fa battezzare al posto di una persona defunta che non ha ricevuto il battesimo in vita, con l’intento di garantirle la salvezza o l’accesso alla risurrezione.
È menzionato una sola volta nel Nuovo Testamento, in un passo oscuro della Prima Lettera ai Corinzi:
«Altrimenti, che faranno quelli che si fanno battezzare per i morti? Se i morti davvero non risorgono, perché allora si fanno battezzare per loro?» (1 Corinzi 15,29)
San Paolo non chiarisce chi fossero esattamente coloro che praticavano il battesimo vicario, e non dice esplicitamente se approvasse o meno la pratica. I Padri della Chiesa sono concordi nel dire che non erano i cristiani ortodossi a farlo, ma qualche gruppo marginale o setta tra i primi cristiani.
L’ipotesi più accettata è che alcuni cristiani di Corinto, influenzati da idee locali o gnostiche, avessero introdotto questa pratica. Paolo non li approva né li condanna esplicitamente, ma usa il loro comportamento come argomento retorico: «Se non c’è risurrezione, perché si fanno battezzare per i morti?»
Questo suggerisce che Paolo non approvasse direttamente la pratica, ma ne usasse l’esistenza per rafforzare la sua argomentazione sulla risurrezione.
San Paolo infatti sta difendendo la dottrina della risurrezione dei morti, che alcuni cristiani di Corinto mettevano in dubbio. Tutto il capitolo è un’argomentazione teologica per dimostrare che:
Cristo è risorto dai morti,
quindi anche noi risorgeremo,
e la risurrezione è parte essenziale della fede cristiana.
In pratica San Paolo sta dicendo: «Persino quelli che si fanno battezzare per i morti credono nella risurrezione; perché voi, che siete cristiani, non ci credete?»
La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, conosciuta comunemente come Chiesa Mormone, fu fondata da Joseph Smith nel 1830 a Fayette, New York, negli Stati Uniti. Smith affermava di aver ricevuto, tramite l’angelo Moroni, delle tavole d’oro contenenti un altro Vangelo di Gesù Cristo in America, che egli avrebbe tradotto per ispirazione divina nel Libro di Mormon. I suoi seguaci lo considerarono un profeta, paragonabile a Mosè o Isaia, e accettarono le sue successive rivelazioni raccolte in opere come Dottrina e Alleanze e La Perla di Gran Prezzo.
Tuttavia, i contenuti dottrinali di tali scritti contengono gravi deviazioni dal Cristianesimo biblico e dalla tradizione apostolica della Chiesa. Di seguito vengono esaminati alcuni errori fondamentali della dottrina mormone, con una confutazione da parte cattolica.
1. Il Libro di Mormon
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
Joseph Smith, fondatore della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, affermava di aver ricevuto rivelazioni da un essere angelico di nome Moroni. Secondo il suo racconto, nella notte del 21 settembre 1823, l’angelo Moroni – un antico profeta vissuto nelle Americhe – gli apparve per rivelargli l’esistenza di un libro sacro scritto su tavole d’oro, sepolto in una collina nei pressi della sua casa nello stato di New York.
Dopo alcuni anni, Smith dichiarò di aver ricevuto queste tavole e di averle tradotte grazie all’aiuto di strumenti divini, chiamati Urim e Thummim. Il risultato di questa traduzione fu Il Libro di Mormon, pubblicato nel 1830. I suoi seguaci lo considerano “un altro testamento di Gesù Cristo”, che si aggiunge alla Bibbia come ulteriore testimonianza del Vangelo.
Confutazione secondo la dottrina cattolica
La Chiesa Cattolica non riconosce il Libro di Mormon come ispirato o canonico. Uno dei riferimenti più chiari a riguardo si trova nella Lettera di San Paolo ai Galati:
«Ma anche se noi stessi o un angelo dal cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema.» (Galati 1,8)
Secondo la fede cattolica, Cristo ha conferito a Pietro le chiavi del Regno dei Cieli (cfr. Matteo 16,19), conferendo a lui e agli altri apostoli, in comunione con lui (Matteo 18,18), l’autorità di insegnare, governare e santificare. Questo potere apostolico è stato trasmesso ai loro successori, cioè ai vescovi, e in modo particolare al Vescovo di Roma, il Papa, successore di Pietro.
La Chiesa insegna che la Rivelazione pubblica si è conclusa con la morte dell’ultimo apostolo, San Giovanni. Perciò:
Non è possibile aggiungere nuovi testi ispirati alla Sacra Scrittura.
Il canone biblico è chiuso, come definito in vari concili:
Concilio di Roma (382),
Concilio di Ippona (393),
Concilio di Cartagine (397),
e solennemente ribadito dal Concilio di Trento (1546).
La Chiesa considera canonici solo i quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni) perché:
Sono di origine apostolica: scritti da apostoli o da loro diretti collaboratori (Marco con Pietro, Luca con Paolo).
Sono ispirati dallo Spirito Santo.
Sono stati riconosciuti e accettati nella vita liturgica e dottrinale della Chiesa fin dai primi secoli.
I cosiddetti Vangeli apocrifi (come quelli di Tommaso, Pietro o Giuda) sono stati esclusi perché non soddisfano questi criteri: non sono apostolici, contengono dottrine incompatibili con la fede cristiana, e non sono mai stati accettati universalmente dalla Chiesa.
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, si afferma chiaramente:
«La Rivelazione è completa in Gesù Cristo e trasmessa interamente attraverso la Scrittura e la Tradizione. Non ci sarà più un’altra Rivelazione.» (CCC 66-67)
Per la dottrina cattolica, ogni pretesa di nuova rivelazione pubblica universale – come quella fatta da Joseph Smith con il Libro di Mormon – è incompatibile con la fede cristiana trasmessa dagli apostoli e custodita nella Chiesa. Ogni dottrina o testo che si presenta come “nuovo Vangelo” è, secondo San Paolo, da rigettare.
2. Il battesimo mormone
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
Per i mormoni, il battesimo è un ordinanza fondamentale per entrare nel regno di Dio e ottenere la salvezza. Viene amministrato dopo gli 8 anni, considerata l’età della responsabilità morale, e avviene per immersione totale in acqua. La formula usata e quella trinitaria.
Tuttavia, la concezione mormone della Trinità non è cristiana in senso tradizionale. Padre, Figlio e Spirito Santo sono visti come tre esseri distinti e separati, uniti nello scopo ma non consustanziali, cioè non un unico Dio. Inoltre, nella teologia mormone Dio Padre è considerato un essere con corpo fisico e origine umana, una visione che si distacca radicalmente dal monoteismo trinitario storico.
Confutazione secondo la dottrina cattolica
Secondo la Chiesa cattolica, per la validità del battesimo occorrono tre elementi fondamentali:
Materia: acqua naturale (accettata nel battesimo mormone).
Forma: la formula trinitaria corretta (“nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”).
Intenzione: il ministro deve avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa nel conferire il sacramento.
Nel caso dei mormoni, nonostante l’apparente correttezza formale, la Chiesa cattolica ritiene che il battesimo non sia valido, per due motivi principali:
La Trinità non è intesa nel senso cristiano: per i cattolici, c’è un solo Dio in tre persone consustanziali. I mormoni invece parlano di tre esseri divini separati, uniti nello scopo, non consustanziali. Questo fa sì che, anche usando le stesse parole, il significato profondo della formula è del tutto diverso.
L’intenzione del ministro non coincide con quella della Chiesa: poiché la dottrina di riferimento è radicalmente diversa, anche l’intenzione non può essere considerata conforme a quella cattolica.
Per questi motivi, la Chiesa cattolica non riconosce il battesimo mormone come valido. Un mormone che desideri diventare cattolico deve ricevere un nuovo battesimo, considerato il primo valido ai fini sacramentali.
3. La Dottrina della Trinità
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
Secondo il Gospel Principles (un manuale autorevole, ma non canonico della Chiesa mormone), Dio Padre, Gesù Cristo e lo Spirito Santo sono tre Persone distinte, unite da uno stesso scopo, volontà e intento.
In Dottrina e Alleanze (uno dei testi canonici della Chiesa mormone), si afferma:
«Il Padre ha un corpo di carne e ossa, tangibile come quello dell’uomo; così anche il Figlio; ma lo Spirito Santo non ha un corpo di carne e ossa, ma è un personaggio di Spirito.» (Doctrine and Covenants, 130, 22)
Secondo la dottrina mormone, dunque, le tre Persone della Divinità (chiamata “Godhead”) non sono un solo Dio in tre Persone consustanziali, come insegna la dottrina cristiana tradizionale, ma tre esseri distinti e separati, uniti in perfetta armonia d’intento.
Confutazione secondo la dottrina cattolica
La fede cristiana, come professata dalla Chiesa cattolica, afferma che Dio è uno solo in tre Persone coeterne e consustanziali: Padre e Figlio e Spirito Santo. Le tre Persone sono distinte, ma posseggono indivisibilmente la medesima divinità.
Fondamento biblico della dottrina trinitaria
Esiste un solo Dio
Deuteronomio 6,4: «Ascolta, Israele: Il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore.»
Isaia 45,5: «Io sono il Signore e non ce n’è alcun altro.»
Il Padre è Dio
1 Corinzi 8,6: «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene…»
Il Figlio è Dio
Giovanni 20,28: «Tommaso gli rispose: Mio Signore e mio Dio!»
Colossesi 2,9: «In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità.»
Tito 2,13 e 2 Pietro 1,1: parlano di «Gesù Cristo, nostro grande Dio e Salvatore».
Lo Spirito Santo è Dio
Atti 5,3-4: «Anania, perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo? … Non hai mentito agli uomini, ma a Dio.»
1 Corinzi 3,16: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?»
Le tre Persone sono distinte
Matteo 3,16-17: «Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba… ed ecco, una voce dal cielo diceva: “Questi è il Figlio mio…”»
Le tre Persone sono una sola sostanza
Matteo 28,19: «Battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» – non nei nomi, ma nel nome (singolare), indicando l’unità nella sostanza.
2 Corinzi 13,13: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.»
La dottrina mormone presenta una visione triteistica della Divinità, riconoscendo tre esseri divini distinti, uniti soltanto nell’intento. Al contrario, la dottrina cattolica (condivisa dalla maggior parte delle confessioni cristiane storiche) afferma che vi è un unico Dio in tre Persone realmente distinte (per le loro relazioni d’origine), ma consustanziali e inseparabili. Questa è la dottrina della Trinità, rivelata pienamente nel Nuovo Testamento e confermata dalla Tradizione apostolica.
4.La dottrina corporea di Dio
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
«Il Padre ha un corpo di carne e ossa, altrettanto tangibile come quello dell’uomo, il Figlio pure, ma lo Spirito Santo non ha un corpo di carne e ossa ma è un personaggio di spirito…» (Doctrine and Covenants, 130, 22)
Confutazione secondo la dottrina cattolica
Secondo la Rivelazione cristiana, Dio è spirito (Giovanni 4,24), incorporeo (1 Timoteo 1,17; Colossesi 1,15), invisibile, increato, eterno e trascendente. Le Scritture che parlano di «braccio», «occhi», «volto» di Dio (Esodo 13,14; Deuteronomio 11,12; Matteo 18,10) vanno intese in modo antropomorfico, cioè come immagini umane usate per descrivere realtà spirituali.
Dio non è corpo e non è naturalmente unito a un corpo. Solo alla pianezza del tempo, il Figlio di Dio unì a se stesso ipostaticamente un corpo e un anima razionale, divenendo veramente uomo (Giovanni 1,14; Galati 4,4) pur rimanendo “consubstantialem Patri” (consustanziale al Padre) nella sua Persona divina (Giovanni 10,30).
5. La falsa identificazione dello spirito con una “materia sottile”
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
«Ogni spirito è materia, ma è più fine o pura…» (Doctrine and Covenants, 131, 7-8)
Confutazione secondo la dottrina cattolica
Questa concezione è materialista e panteista, e contraria alla filosofia cristiana. Lo spirito, per definizione, è immateriale. Nella tradizione cristiana, lo spirito (dell’uomo o di Dio) è sostanza semplice, non composta, immortale e non spaziale. L’anima umana, creata da Dio, è spirituale e non materiale: la sua immagine di Dio (Genesi 1,26-27) consiste non nel corpo, ma nella capacità intellettiva e volitiva, cioè nella libertà e nella razionalità. Questa è una dottrina costante della filosofia cristiana (San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino, ecc.) e della Rivelazione.
6.La dottrina secondo cui Dio Padre fu un tempo un uomo
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
«Vi fu un tempo in cui il nostro Padre celeste passò attraverso una vita e una morte, ed è un uomo esaltato.» (Doctrines of Salvation, 1, 19)
Confutazione secondo la dottrina cattolica
Questo errore teologico è noto come «divinizzazione antropomorfica», e ha origine nel pensiero gnostico e mitologico, non nella fede biblica. In questo caso si riferisce all’idea secondo cui l’uomo viene innalzato a Dio, proiettando su Dio le caratteristiche umane.
La teologia classica, in linea con la filosofia scolastica, afferma che Dio è un essere semplice, incausato, immutabile, atto puro.
Dio è un essere semplice: non composto da parti, né materiale né formale; la sua essenza è identica alla sua esistenza.
Dio è incausato: non ha una causa esterna che lo abbia generato o creato; è causa prima.
Dio è immutabile: non cambia nel tempo né nelle sue perfezioni, perché ogni cambiamento implicherebbe un passaggio da meno a più o viceversa, cosa incompatibile con la perfezione assoluta.
Dio è atto puro: non ha potenza in sé, ma solo atto, cioè è completamente realizzato e perfetto in ogni sua dimensione.
Parimenti la Sacra Scrittura sostiene che Dio è eterno e immutabile:
«Io sono il Signore, non cambio…» (Malachia 3,6)
«Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio.» (Salmi 89,2)
Attribuire a Dio una vita pre-divina o una trasformazione da uomo a Dio significa negare la sua semplicità ed eternità, l’essenza stessa della divinità. È eretico e blasfemo sostenere che Dio era un uomo diventato Dio.
7. La negazione dell’onnipresenza di Dio
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
«Dio non può occupare nello stesso tempo più di quello spazio consentito alle sue proporzioni…» (Articoli di fede, 48-49)
Confutazione secondo la dottrina cattolica
La dottrina cristiana insegna l’onnipresenza di Dio:
«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!» (1 Re 8,27)
«Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano… Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra…» (Salmi 138,5-12)
«Non riempio io il cielo e la terra?» (Geremia 23,24)
Dio, essendo puro spirito, non è circoscrivibile nello spazio. La sua presenza trascende lo spazio e il tempo, ed è presente in ogni luogo in modo differente: essenzialmente, santificamente, o giudicativamente. Limitare Dio a un luogo equivale a ridurlo a creatura.
8. La falsa affermazione secondo la quale Gesù e Dio Padre praticassero la poligamia
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
Nel Registro dei Discorsi si sostiene che Gesù Cristo e Dio Padre praticassero la poligamia:
«Gesù ha avuto molte mogli, e ha generato figli sulla terra, così come il Padre celeste ha molte mogli e molti figli.» (Journal of Discourses, 2, 82)
Confutazione secondo la dottrina cattolica
Questa è una speculazione totalmente infondata. Nessun documento canonico (Vangeli, Atti, Lettere apostoliche) ne fa menzione. Anzi, Gesù esalta la castità per il Regno di Dio (Matteo 19,12) e mai menziona mogli o figli propri. L’unione che Cristo ha è con la sua Chiesa (Efesini 5,25-32), che è la sua sposa mistica.
L’idea della poligamia di Gesù e di Dio Padre è una invenzione tardiva, funzionale a giustificare la pratica mormone della poligamia, introdotta nel XIX secolo e solo formalmente abolita nel 1890 sotto pressione del governo USA. È una dottrina contraria all’insegnamento evangelico sull’unità matrimoniale (Matteo 19,4-6).
9. La dottrina secondo cui Dio Padre ebbe rapporti sessuali con Maria
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
«Cristo fu generato da Dio. Non nacque senza l’ausilio di un uomo, e quell’uomo era Dio.» (Doctrines of Salvation, 1, 18)
«Il Padre celeste è il padre letterale del corpo di Gesù Cristo… come ogni uomo è il padre del figlio che ha generato.» (Journal of Discourses, 8, 115)
«Il corpo del Salvatore non fu generato dallo Spirito Santo… Fu generato da Dio Padre… Maria, per un tempo, fu sua moglie legittima, secondo le leggi celesti; e fu data a Lui, anche se già promessa in sposa a Giuseppe…» (The Seer, 158)
Confutazione secondo la dottrina cattolica
Questo è un errore gravissimo e blasfemo. La Scrittura afferma chiaramente che Gesù fu concepito verginalmente per opera dello Spirito Santo:
«Maria disse all’Angelo: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» L’Angelo rispose: «Lo Spirito Santo scenderà su di te…» (Luca 1,34-35)
«…quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.» (Matteo 1,20)
L’Incarnazione è un mistero soprannaturale, non biologico. L’idea di un dio fisico che generi figli tramite unione sessuale è pagana (come nel mito di Zeus e Alcmene), non cristiana.
10. Battesimo vicario (per i morti)
La posizione della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni)
In Dottrina e Alleanze, Joseph Smith discute l’importanza del battesimo per i morti come ordinanza essenziale alla salvezza e cita 1 Corinzi 15,29 come sostegno (Doctrine and Covenants, 128).
Confutazione secondo la dottrina cattolica
1 Corinzi 15,29: «Altrimenti, che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti? Se i morti davvero non risorgono, perché allora si fanno battezzare per loro?»
San Paolo sta difendendo la dottrina della risurrezione dei morti, che alcuni cristiani di Corinto mettevano in dubbio. Tutto il capitolo è un’argomentazione teologica per dimostrare che:
Cristo è risorto dai morti,
quindi anche noi risorgeremo,
e la risurrezione è parte essenziale della fede cristiana.
Paolo non sta approvando una nuova pratica sacramentale, ma solo usando un argomento ad hominem: sta dicendo che anche alcune persone che si fanno battezzare «per i morti» lo fanno perché credono nella risurrezione. Quindi, se la risurrezione non esistesse, la loro azione sarebbe senza senso.
Questa non era una pratica della Chiesa. Paolo potrebbe riferirsi a una consuetudine di gruppi marginali o sincretisti. In pratica, Paolo sta dicendo: «Persino quelli che si fanno battezzare per i morti credono nella risurrezione; perché voi, che siete cristiani, non ci credete?»
Tertulliano (II–III secolo) interpreta 1 Corinzi 15,29 come una pratica approvata o comune, ma si riferisce alla motivazione del battesimo in relazione ai morti, cioè alla testimonianza dei martiri:
«I cristiani si fanno battezzare per i morti, cioè a motivo della speranza della risurrezione dei morti.» (De Resurrectione Carnis, 48)
Tertulliano interpreta «per i morti» non come battesimo vicario, ma come battesimo motivato dalla fede nella risurrezione, che è confermata anche dalla morte dei martiri.
In sintesi: il battesimo per i morti (o battesimo vicario) non è una dottrina cristiana. Paolo sta argomentando a favore della risurrezione, non promuovendo un battesimo per i morti. La frase è retorica, mostra che persino alcuni che seguono pratiche dubbie credono nella risurrezione, quindi la risurrezione non può essere negata proprio dai cristiani.
Conclusione
La dottrina mormone presenta numerosi errori teologici e una visione materialista della divinità, che si discosta in maniera radicale dalla fede cristiana fondata sulla Rivelazione pubblica contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione Apostolica.
Il Cristianesimo professa un Dio eterno, immutabile, spirito puro, trascendente, onnipotente e onnipresente, non un essere corporeo che evolve. Gesù è il Verbum aeternum factum caro (Verbo eterno fatto carne), non un uomo divinizzato né un poligamo. La Vergine Maria ha concepito verginalmente per opera dello Spirito Santo, non tramite un atto carnale. Tutto ciò è stato riconosciuto e professato dalla Chiesa universale fin dai primi secoli.
L’episodio della Trasfigurazione di Gesù è ricco di significato teologico, spirituale e liturgico. Questo evento è narrato nei Vangeli sinottici (Matteo 17,1-9; Marco 9,2-10; Luca 9,28-36) e commemorato dalla Chiesa il 6 agosto, festa liturgica della Trasfigurazione del Signore.
Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e sale su un monte alto, tradizionalmente identificato con il Monte Tabor. Là il suo volto risplende come il sole e le sue vesti diventano bianche come la luce. Appaiono Mosè ed Elia, che conversano con Lui. Una nube luminosa li avvolge con la sua ombra, e una voce dal cielo proclama: «Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo».
La Trasfigurazione è una teofania, una manifestazione della gloria divina di Gesù. Rivela la sua vera identità come Figlio di Dio e anticipa la gloria della sua Risurrezione. In vista della Passione, Gesù mostra ai discepoli la sua gloria per confortarli e rafforzare la loro fede dinanzi alla croce.
La presenza di Mosè ed Elia indica che Gesù è il compimento della Legge e dei Profeti: tutta la storia della salvezza converge e trova pienezza in Lui.
La nube luminosa è segno della presenza divina, come già nell’Antico Testamento (Esodo 13,21; 40,34). Essa manifesta Dio nella sua luce e nel suo mistero.
La voce del Padre attesta che Gesù è il Figlio amato e l’unico Maestro da ascoltare: non più solo Mosè ed Elia, ma Cristo è il rivelatore definitivo del Padre.
Come i discepoli, anche i cristiani sono chiamati a salire sul monte, cioè a vivere momenti di preghiera profonda e contemplazione, ma poi a discendere nella realtà quotidiana, portando Cristo agli altri.
La Chiesa vede nella Trasfigurazione un modello di conversione: la vita cristiana è un cammino verso la gloria che passa però attraverso la croce.
La Trasfigurazione è una solennità liturgica nella Chiesa cattolica, a sottolineare l’importanza dell’evento nella vita di Cristo e nella fede della Chiesa. È anche uno dei misteri luminosi del Rosario (il quarto), introdotti da San Giovanni Paolo II nel 2002.
Padri come San Leone Magno e Origene di Alessandria hanno visto nella Trasfigurazione un invito a cercare le realtà celesti e una rivelazione della piena identità di Cristo. San Tommaso d’Aquino la considera la più grande rivelazione della divinità di Gesù prima della Risurrezione.
San Leone Magno:
«La Trasfigurazione mirabilmente conferma la fede dei discepoli, affinché la croce non li scandalizzasse, e per mostrare con quale splendore egli risorgerà.» (Sermo 51, De Transfiguratione Domini, 3)
Origene:
«Gesù condusse Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte per trasformarli interiormente e permettere loro di vedere la gloria del Verbo.» (Commentario su Matteo, 12.37)
San Tommaso d’Aquino:
«Cristo volle manifestare la sua gloria ai suoi discepoli sul monte per rimuovere lo scandalo della croce e per mostrare quale gloria attende coloro che lo seguono.» (Summa Theologiae, III, q. 45, a. 1)
«Fu conveniente che Cristo si trasfigurasse… affinché la verità della sua divinità si manifestasse apertamente, per conforto dei discepoli.» (Summa Theologiae, III, q. 45, a. 2)
Il Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea che la Trasfigurazione è preparazione alla croce e anticipazione della gloria futura, sia per Cristo che per i cristiani (cf. CCC 554-556).
Per Benedetto XVI (cf. Gesù di Nazaret, vol. I), la Trasfigurazione non è un atto magico o un semplice miracolo esterno, ma una rivelazione della verità profonda di Gesù, che si manifesta nella preghiera. La luce proviene dall’interno, perché Egli è Dio.
La liturgia richiama tutti gli elementi chiave di questo evento: la Legge, i Profeti, la filiazione divina, l’ascolto, e la partecipazione alla gloria. Il cristiano è chiamato ad ascoltare Cristo e a seguire il suo cammino, per essere trasfigurato con Lui.
Infine, la Trasfigurazione è anche una teofania trinitaria, una delle rare manifestazioni visibili della Trinità nella Scrittura:
Padre: la voce dalla nube;
Figlio: Gesù trasfigurato;
Spirito Santo: la nube luminosa, simbolo della presenza divina.
Secondo quanto si legge nella Sacra Scrittura, in particolare nel libro del profeta Ezechiele (28,13-15), l’essere che successivamente si sarebbe rivolto contro Dio – divenendo Satana, cioè «Avversario» – era inizialmente un Cherubino, perfetto nella bellezza e nella sapienza, posto in Eden, il giardino di Dio. L’identità di questo Cherubino è stata tradizionalmente riferita dalla teologia cristiana a Lucifero, nome che in latino significa «Portatore di Luce», e che traduce l’ebraico Helel, presente in Isaia 14,12, laddove si parla della caduta dell’astro del mattino, il figlio dell’aurora.
Questo passo di Isaia – benché in origine indirizzato a un sovrano terreno, forse Sargon II o Nabucodonosor II, secondo varie interpretazioni storico-critiche – è stato letto dalla tradizione patristica e medievale come una figura simbolica della caduta dell’Angelo prevaricatore, che volle innalzarsi al di sopra di Dio stesso. La tradizione patristica, infatti, vede in Lucifero il simbolo del primo peccato, quello dell’orgoglio angelico.
Secondo la classificazione angelica proposta da Dionigi (V–VI secolo) nel trattato De Coelesti Hierarchia (VI, 2), i Cherubini appartengono al secondo ordine della prima gerarchia o triade celeste, che comprende Serafini, Cherubini e Troni. I Cherubini, secondo questa tradizione, sono preposti alla conoscenza e alla contemplazione della verità divina, mentre i Serafini, che li sovrastano, sono associati all’amore ardente verso Dio.
Anche San Tommaso (XIII secolo), nella sua Summa Theologiae (I, q. 63, a. 7), distingue tra i due termini, spiegando che Cherubino significa «pienezza di scienza», mentre Serafino significa «ardente». Egli sottolinea che, mentre la conoscenza può coesistere con il peccato mortale, la carità, essendo forma di tutte le virtù, non può. Per questo, pur essendo Lucifero preposto a tutte le schiere angeliche – come principe degli Angeli e apice della gerarchia creata – egli non fu denominato Serafino, bensì Cherubino.
Questa posizione di primato angelico, secondo una larga parte della tradizione teologica, venne meno con la caduta. L’ufficio di guida delle schiere celesti fu allora affidato all’Arcangelo Michele, il cui nome in ebraico Mikha’el significa «Chi è come Dio?», espressione che ribadisce l’incomparabile unicità del Creatore, come testimoniano numerosi passi biblici (cfr. 1 Samuele 2,2; Giobbe 40,9; Isaia 42,8; Salmi 34,10; 144,3; Michea 7,18).
Michele è il grande difensore del Regno di Dio e il condottiero delle armate celesti. Nella visione apocalittica di Apocalisse 12,7-9, è proprio lui che guida gli Angeli fedeli nella battaglia contro il drago, simbolo di Satana, e lo scaccia dal cielo. Questo episodio è in armonia con le parole di Gesù in Luca 10,18, dove dichiara: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore”.
La figura di Lucifero – prima Angelo di luce, poi avversario di Dio – è quindi il paradigma dell’orgoglio spirituale, del rifiuto del proprio ordine ontologico, della pretesa creatura che vuole farsi uguale al Creatore. Come affermava Sant’Agostino (IV–V secolo), il peccato degli Angeli caduti fu un «superbiae initium», l’inizio della superbia, che li portò alla rovina (cfr. De Civitate Dei, XI, 13).
Infine, la caduta di Lucifero e degli Angeli ribelli segna l’origine del male personale nell’universo creato, ma allo stesso tempo esalta la fedeltà degli Angeli rimasti fedeli, come Michele, i quali scelgono liberamente e irrevocabilmente il servizio al Dio Altissimo.