RIFLESSIONE TEOLOGICA SUI 144.000 SEGNATI DELL’APOCALISSE

A cura di Giuseppe Monno

La rivelazione apocalittica non parla mai in termini di aritmetica, ma di mistero. I numeri in essa non servono a delimitare, bensì a disvelare l’invisibile logica divina che supera ogni misura umana.
Quando Giovanni ascolta il numero dei segnati, non riceve un dato statistico del cielo, ma la visione della totalità ordinata e compiuta del popolo di Dio.

Il numero 144.000 è il linguaggio simbolico della pienezza, non dell’esclusione:
le dodici tribù dell’antico Israele e i dodici apostoli del nuovo Israele si moltiplicano per mille, cifra di immensità e di compimento.
È come dire: tutto il popolo di Dio, in ogni tempo e luogo, conosciuto e custodito dal suo Signore.

Il fraintendimento dei Testimoni di Geova nasce da un approccio letteralista che, in nome della precisione numerica, perde il senso sacramentale della Parola.
La Scrittura non “conta” i salvati come si contano i cittadini di uno Stato:
essa “riconosce” coloro che appartengono al Signore.
Il 144.000 non è un numero di posti riservati in cielo, ma il segno battesimale dell’appartenenza a Cristo (cfr. Efesini 1,13).

Credere che solo 144.000 persone entreranno nel cielo, equivale a ridurre l’infinita misericordia di Dio alla misura di un elenco chiuso.
Ma Dio non salva per quota, bensì per comunione. Il suo amore non si divide in parti limitate, ma si espande e si moltiplica come la luce, senza sottrarre nulla a nessuno.

Giovanni sente il numero dei segnati (Apocalisse 7,4) e poi vede una moltitudine che nessuno poteva contare (Apocalisse 7,9).
Non sono due popoli, ma due prospettive dello stesso mistero.
Udire il numero significa contemplare la Chiesa nella sua dimensione ordinata e visibile, “contata” da Dio perché nulla di ciò che gli appartiene vada perduto.
Vedere la moltitudine significa invece contemplare la stessa Chiesa nella sua pienezza escatologica:
uomini e donne di ogni lingua, popolo e nazione, trasfigurati nella gloria dell’Agnello.

La teologia cattolica riconosce in questo movimento (dal “sentire” al “vedere”) la dinamica stessa della fede:
ciò che sulla terra appare come un piccolo gregge, nel cielo si manifesta come una moltitudine innumerevole.

La teologia geovista, separando i 144.000 dalla “grande folla”, introduce una gerarchia artificiale tra due gruppi di salvati:
gli uni destinati al cielo, gli altri a una terra secondaria.
Ma l’Apocalisse non conosce due popoli di Dio, né due salvezze parallele.
Il cielo e la terra non sono due premi, ma due dimensioni del medesimo Regno.
L’Agnello non ha due spose, ma una sola:
la Chiesa, santa e universale, composta da tutti coloro che portano il sigillo della fede e perseverano nell’amore.

Separare i 144.000 segnati dalla moltitudine innumerevole significa fraintendere il cuore stesso dell’Apocalisse:
l’unità tra Israele e le genti, tra il popolo dell’Alleanza e la Chiesa Universale.

Il “sigillo” non è un privilegio, ma una responsabilità: essere testimoni della fedeltà di Dio in mezzo alla prova.
Tutti coloro che sono sigillati sulla terra (cioè i battezzati che vivono nella fede) sono destinati a essere parte della moltitudine gloriosa in cielo.
Non due categorie, ma due fasi della stessa vocazione: la Chiesa militante e la Chiesa trionfante.

La vera salvezza non è riservata a pochi “eletti contati”, ma è offerta a tutti, perché Cristo “è morto per tutti” (2 Corinzi 5,15).
L’unico limite non è nel numero, ma nel rifiuto personale dell’amore divino.

In ultima analisi, la visione dei 144.000 segnati non è la descrizione di una élite spirituale, ma l’icona del popolo di Dio nella sua totalità, perfetto nella carità, ordinato nella grazia,
e glorioso nella speranza.
Il Regno dei cieli non è un club chiuso ma una comunione che si allarga, una moltitudine che nessuno può contare perché l’amore di Dio non si misura in cifre, ma in eternità.

Chi legge i numeri dell’Apocalisse con mentalità contabile trasforma la grazia in un censimento.
Ma chi li legge con il cuore della fede vi scorge il mistero dell’infinita generosità di Dio.

Il 144.000 non è un numero limitato, ma simbolico: rappresenta la totalità ordinata del popolo dei salvati.
La “moltitudine innumerevole” è la stessa realtà, contemplata nella sua pienezza escatologica.
Così la fede cattolica riconosce che Dio non conta per escludere, ma per amare; non limita per numero, ma compie per comunione.

SPIRITUALITÀ NEW AGE

A cura di Giuseppe Monno

Luce vera e luci illusorie: riflessione cattolica sul fenomeno della New Age

Nel mondo odierno, segnato da un pluralismo spirituale senza precedenti, molti uomini e donne cercano il senso della vita al di fuori delle tradizioni religiose consolidate. Tra le risposte emergenti, la cosiddetta spiritualità New Age rappresenta una delle correnti più diffuse e affascinanti del panorama contemporaneo. Essa propone una visione olistica dell’universo, un’unità indistinta tra divino, umano e naturale, e un cammino di autorealizzazione che promette armonia e benessere interiore.
Tuttavia, la fede cattolica, pur riconoscendo il desiderio di infinito che anima tale ricerca, deve discernere con chiarezza la verità rivelata da Cristo dalle illusioni di una spiritualità senza Redenzione.

Origini e natura della New Age

Il termine New Age (Nuova Era) nasce dalla convinzione che l’umanità stia entrando in una nuova fase cosmica — l’“Era dell’Acquario” — segnata da pace, conoscenza e risveglio spirituale. Questa prospettiva, erede di antiche correnti esoteriche, gnostiche e teosofiche, mescola elementi orientali (come il karma e la reincarnazione) con pratiche occidentali di psicologia, meditazione, astrologia e guarigione energetica.

La New Age non è una religione in senso stretto, ma un insieme fluido di credenze che pongono al centro non più Dio, ma l’io umano come scintilla divina. Il sacro non è più un Altro da adorare, ma un’energia da risvegliare.

Il fascino spirituale e le sue ambiguità

È innegabile che la New Age intercetti bisogni autentici dell’uomo contemporaneo: il desiderio di interiorità, di unità con la natura, di guarigione e di pace. Laddove molte comunità cristiane hanno trascurato la dimensione esperienziale della fede, la New Age offre un linguaggio di emozioni, simboli e rituali che sembrano riempire un vuoto.
Tuttavia, essa compie un passo falso decisivo: confonde la sete di Dio con l’autoaffermazione dell’io. La trascendenza viene dissolta nell’immanenza, la grazia sostituita da tecniche di autosalvezza, e la relazione personale con Dio ridotta a una vibrazione energetica impersonale.

La visione cristiana del mistero divino

La fede cattolica proclama che Dio non è una forza anonima né un principio cosmico, ma un Padre che si rivela nella storia e che ama personalmente ogni uomo. In Cristo Gesù, Dio si è fatto carne, non per confondersi con il mondo, ma per redimerlo.
Mentre la New Age annuncia l’assorbimento dell’individuo nel “Tutto”, il cristianesimo proclama la comunione: l’unione tra Dio e l’uomo che preserva la persona nella sua identità e libertà.

L’uomo non si salva risvegliando un potere nascosto, ma accogliendo un dono gratuito. La grazia non è energia, ma presenza viva dello Spirito Santo che trasforma l’essere umano dall’interno.

Antropologia cristiana e spiritualità autentica

La New Age propone una visione ottimistica dell’uomo, priva della consapevolezza del peccato originale. In essa non esiste vera conversione, ma solo “espansione della coscienza”.
La Chiesa, invece, custodisce la verità sull’uomo ferito dal peccato ma amato da Dio. La salvezza non è conquista, bensì redenzione. La preghiera cristiana non è una tecnica per ottenere stati di coscienza, ma un incontro con il Vivente, un dialogo d’amore.

Il discernimento cristiano

Il credente cattolico è chiamato a un discernimento maturo: riconoscere ciò che nella New Age può essere un punto di partenza — il desiderio di spiritualità, il rispetto del creato, la ricerca dell’unità — e purificarlo alla luce del Vangelo.
Non tutto è da rigettare, ma tutto deve essere ricondotto a Cristo, “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).
Ogni cammino che promette salvezza senza Croce, potere senza grazia, armonia senza conversione, non viene dallo Spirito di Dio.

Maria e la vera Nuova Era

La vera Nuova Era è già iniziata: è l’Era della Grazia inaugurata dall’Incarnazione del Verbo. Maria, Madre del Redentore, ne è l’aurora. In Lei, l’umanità trova la sua autentica realizzazione: non nell’esaltazione dell’ego, ma nell’umile “fiat” che apre al disegno di Dio.
Dove la New Age parla di “energia femminile universale”, la Chiesa indica la Donna piena di grazia, la cui maternità spirituale conduce a Cristo, non a un sé divinizzato.

Conclusione

La Chiesa non condanna chi cerca luce, ma indica la Luce vera.
La New Age, con il suo linguaggio seducente e i suoi simboli, rivela la nostalgia dell’Eden perduto, ma propone un cammino che resta chiuso in sé stesso.
Il cristiano, invece, sa che la verità non si conquista: si accoglie.
Non esiste “nuova era” che possa sostituire il Vangelo, perché ogni epoca trova senso solo in Colui che è “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Ebrei 13,8).

In sintesi, la risposta cattolica alla New Age non è il rifiuto, ma la trasfigurazione: portare la sete dell’uomo alla sorgente dell’acqua viva, Cristo Signore.

IL RAPIMENTO ANTICIPATO DEGLI ELETTI

A cura di Giuseppe Monno

La Chiesa cattolica non riconosce la cosiddetta dottrina del “rapimento della Chiesa” come proposta da alcune correnti protestanti moderne. Questa interpretazione, secondo cui i credenti sarebbero improvvisamente sollevati dalle nuvole per incontrare Cristo prima di un periodo di tribolazione, non trova riscontro chiaro nel Magistero né nella tradizione biblica cattolica.

Innanzitutto, i testi citati a sostegno del rapimento — in particolare 1 Tessalonicesi 4,16-17 e 1 Corinzi 15,51-52 — vanno compresi nel contesto della seconda venuta di Gesù Cristo e della resurrezione finale dei morti. La Sacra Scrittura non distingue tra un evento “segreto” riservato ai credenti e il giudizio universale che coinvolgerà tutta l’umanità. Il linguaggio apocalittico di san Paolo indica la trasformazione dei credenti e la resurrezione dei morti, ma sempre nell’ambito della manifestazione finale di Cristo, non come un rapimento anticipato della Chiesa.

In secondo luogo, la dottrina del rapimento introduce una frammentazione artificiale della storia della salvezza, suggerendo che Dio separerebbe i fedeli dal mondo prima di una presunta tribolazione. La tradizione cattolica, invece, afferma che la prova e la tribolazione fanno parte della vita cristiana e della storia della Chiesa, e che il Signore accompagna il suo popolo fino alla fine dei tempi, senza un distacco improvviso.

Infine, la dottrina del rapimento tende a creare un’illusione di salvezza esclusiva e immediata, che contrasta con l’insegnamento cattolico sulla perseveranza nella fede, sulla corresponsabilità nella vita cristiana e sul valore della comunità ecclesiale. La salvezza non è un evento istantaneo che ci sottrae dal mondo, ma un cammino di adesione a Cristo, che culminerà nella sua venuta gloriosa alla fine dei tempi.

In sintesi, la Chiesa cattolica rifiuta la dottrina del rapimento come concetto separato o anticipato, sottolineando che la Bibbia parla della seconda venuta di Cristo come evento universale, nel quale tutti i credenti, vivi e morti, parteciperanno alla resurrezione e alla vita eterna. La fede cattolica invita così a vivere nella speranza, nella preghiera e nella santità quotidiana, senza cercare una fuga miracolosa dalla storia o dalle difficoltà del mondo.

LO SPIRITO SANTO

A cura di Giuseppe Monno

Lo Spirito Santo è una Persona distinta dal Padre e dal Figlio, ma, come il Figlio, possiede pienamente — per donazione — la medesima, indivisibile divinità del Padre.
Perciò Padre, Figlio e Spirito Santo sono il medesimo e unico Dio, sebbene distinti nelle loro relazioni d’origine.

In quanto Persona, lo Spirito Santo ha volontà e intelligenza:

Lo Spirito Santo desidera

Colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.
(Romani 8,27)

Lo Spirito Santo crea

Lo Spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell’Onnipotente mi dà vita.
(Giobbe 33,4)

Lo Spirito Santo ama

Vi esorto, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e per l’amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio.
(Romani 15,30)

Lo Spirito Santo consola

Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre.
(Giovanni 14,16)

Lo Spirito Santo si rattrista

Non rattristate lo Spirito Santo di Dio, con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione.
(Efesini 4,30; cfr. Isaia 63,10)

Lo Spirito Santo rivela

Lo Spirito Santo, che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore.
(Luca 2,26)

Lo Spirito Santo decide

Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie.
(Atti 15,28)

Lo Spirito Santo vieta

Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.
(Atti 16,6)

Lo Spirito Santo insegna la verità

Lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce; voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.
(Giovanni 14,17; cfr. Giovanni 14,26; 15,26)

Lo Spirito Santo conosce tutte le cose

Sta scritto infatti: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano».
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.
Chi conosce i segreti dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere, se non lo Spirito di Dio.
(1Corinzi 2,9-11)

Lo Spirito Santo intercede per la Chiesa

Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare; ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili.
E colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.
(Romani 8,26-27)

Lo Spirito Santo testimonia Cristo

Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza.
(Giovanni 15,26)

Lo Spirito Santo può essere tentato

Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco, alla porta ci sono i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito, e porteranno via anche te».
(Atti 5,9)

Lo Spirito Santo può essere mentito

Ma Pietro gli disse: «Anania, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore, che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno?»
(Atti 5,3)

Lo Spirito Santo può essere bestemmiato

«Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata.
A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro».
(Matteo 12,31-32)

Lo Spirito Santo è Paráklētos (Giovanni 14,16), come Gesù Cristo stesso è chiamato Paráklētos (1Giovanni 2,1).

L’apostolo Pietro dice ad Anania che, mentendo allo Spirito Santo, egli ha mentito a Dio stesso:

Atti 5,3-4
Ma Pietro gli disse: «Anania, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore, che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno?
Prima di venderlo, non era forse tua proprietà? E, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione?
Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio».

L’apostolo Paolo scrive alla Chiesa di Corinto che noi credenti siamo tempio di Dio e che lo Spirito di Dio, cioè lo Spirito Santo, abita in noi:

1Corinzi 3,16
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?

In quanto Persona divina, lo Spirito Santo non è circoscritto a un luogo, ma è onnipresente
(1Re 8,27; Salmi 138,5-12; Proverbi 15,3; Geremia 23,24; Matteo 6,9; Marco 10,27)
e, perciò, può prendere dimora simultaneamente in tutti i credenti:

Atti 2,1-4
Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.
Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano.
Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro;
ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Lo Spirito Santo è chiamato, al tempo stesso, Spirito del Padre e Spirito del Figlio, poiché procede dall’uno e dall’altro come da un solo principio:

Matteo 10,20
Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

Atti 16,6-7
Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.
Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro.

Filippesi 1,19
So infatti che tutto questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo.

Romani 8,9
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi.
Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.

Galati 4,6
E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: «Abbà, Padre!».

1Pietro 1,10-11
Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti che profetizzarono sulla grazia a voi destinata,
cercando di indagare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro,
quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle.

GEOVISMO

A cura di Giuseppe Monno

Il Geovismo — termine con cui si può indicare la dottrina e la prassi dei Testimoni di Geova — è un movimento religioso nato nel XIX secolo negli Stati Uniti d’America e diffusosi poi in tutto il mondo.

I. Origini storiche del Geovismo

Nasce intorno al 1870, per iniziativa di Charles Taze Russell (1852–1916), un giovane statunitense appartenente all’ambiente protestante presbiteriano.
Russell, turbato da alcune dottrine tradizionali del cristianesimo, come l’inferno e la Trinità, cominciò a organizzare studi biblici privati a Pittsburgh (Pennsylvania). Da questi incontri nacque la “Bible Students Association”, che successivamente diede vita alla Watch Tower Bible and Tract Society (Società Torre di Guardia), fondata nel 1881.

Dopo la morte di Russell, la guida del movimento passò a Joseph Franklin Rutherford, che ne riorganizzò la struttura, diede un’impronta più militante e nel 1931 introdusse il nome “Testimoni di Geova”, tratto da Isaia 43,10.
Da allora, il movimento si è distinto per la sua intensa attività di proselitismo e la distribuzione di riviste come “La Torre di Guardia” e “Svegliatevi!”.

II. La dottrina geovista

Le principali credenze dei Testimoni di Geova possono essere riassunte come segue:

  1. Geova Dio

I Testimoni di Geova usano il nome “Geova” come unica designazione legittima di Dio, derivandolo da una vocalizzazione errata del sacro Tetragramma YHWH.
Per la Chiesa Cattolica, il nome di Dio è rivelato ma non esaurisce la realtà divina: Dio non è definibile solo da un nome, ma da una relazione personale d’amore.

  1. Gesù Cristo

Negano la divinità di Gesù Cristo. Secondo loro, Gesù è la prima creatura fatta da Dio, identificata con l’arcangelo Michele.
Questa dottrina si oppone radicalmente al dogma cattolico della Santissima Trinità, secondo cui il Figlio è consustanziale al Padre (cfr. Simbolo Niceno-Costantinopolitano).

  1. Lo Spirito Santo

Non considerano lo Spirito Santo una Persona divina, ma la forza attiva di Dio.
Anche qui la differenza è netta: per la Chiesa Cattolica lo Spirito Santo è la terza Persona della Trinità, Signore vivificante.

  1. La Bibbia

I Testimoni di Geova usano una propria traduzione, chiamata Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture (“TNM”), pubblicata per la prima volta nel 1950.
Questa versione è oggetto di forti critiche da parte di studiosi e biblisti cristiani, per la tendenza a modificare i testi in funzione delle loro dottrine (ad esempio, Giovanni 1,1 viene tradotto “la Parola era un dio” invece di “la Parola era Dio”).

  1. Escatologia e salvezza

Credono che solo un numero di 144.000 eletti regneranno con Cristo nei cieli, mentre la maggioranza dei giusti vivrà per sempre sulla terra paradisiaca.

Negano l’esistenza dell’inferno come pena eterna: per loro i malvagi vengono semplicemente annientati.

Rigettano l’immortalità dell’anima, sostenendo che l’uomo è un’unità indivisibile e che la morte è un annientamento totale finché Dio non ristabilisce la vita mediante la risurrezione.

Idee vicinissime a quelle di Arnobio di Sicca.

  1. La Chiesa e i sacramenti

I Testimoni di Geova non riconoscono nessuna Chiesa visibile né sacramenti efficaci.
Il loro “battesimo” è solo un segno di appartenenza organizzativa, non un mezzo di grazia.
La loro “Cena del Signore” si celebra una volta l’anno, e solo i presunti “unti” partecipano realmente al pane e al vino.

III. Dottrine contrarie alla Rivelazione Cristiana

Il Geovismo presenta numerose dottrine incompatibili con la Rivelazione Cristiana:

  1. Negazione della Trinità.
  2. Negazione della divinità di Cristo.
  3. Negazione della divinità dello Spirito Santo.
  4. Riduzione della Scrittura a lettura privata, senza Tradizione né Magistero.
  5. Interpretazione apocalittica millenarista, più vicina al simbolismo settario che alla speranza escatologica cristiana.
  6. Rifiuto dei sacramenti e della grazia sacramentale, specialmente dell’Eucaristia, del Battesimo e della Riconciliazione.
  7. Rifiuto dell’autorità ecclesiale: la loro “Società Torre di Guardia” si sostituisce alla Chiesa docente come unico interprete della Bibbia.

IV. Alterazioni bibliche e manipolazioni dottrinali

Molti studiosi, anche non cattolici, hanno rilevato alterazioni testuali nella Traduzione del Nuovo Mondo.

Esempi significativi:

Giovanni 1,1: “la Parola era un dio”, per negare l’homoousios (“consustanziale”) niceno.

Colossesi 1,16-17: aggiunta della parola “altre” (“tutte le altre cose sono state create per mezzo di lui”) per presentare Cristo come creatura.

Ebrei 1,6: “adorazione” viene sostituita da “rendere omaggio”.

Luca 23,43: “In verità ti dico oggi: tu sarai con me in paradiso” (la posizione della virgola cambia il senso teologico della promessa di Gesù).

Queste modifiche mostrano un metodo esegetico subordinato all’ideologia dottrinale, piuttosto che al testo originale.

V. Aspetti sociologici e pastorali

Il Geovismo si presenta con un’organizzazione fortemente centralizzata, basata sulla disciplina interna e sul controllo dottrinale.
I membri sono invitati a un’attività intensa di proselitismo e all’evitamento dei contatti religiosi con “il mondo”.
Il sistema di esclusione (disassociazione) provoca spesso lacerazioni familiari e sociali.

La Chiesa cattolica, pur riconoscendo il sincero zelo di molti Testimoni di Geova, invita i fedeli a discernere con prudenza, ricordando che la fede autentica nasce dall’incontro personale con Cristo nella comunità ecclesiale, non da un’interpretazione privata della Scrittura.

VI. Conclusione teologica

Il Geovismo rappresenta, teologicamente, un ritorno a forme di arianesimo e millenarismo, prive del fondamento sacramentale e della dimensione trinitaria della fede.
Sebbene si presenti come “cristianesimo biblico”, in realtà rifiuta la centralità del Mistero pasquale di Cristo, della grazia e della comunione ecclesiale.

ERESIE CRISTOLOGICHE E TRINITARIE

A cura di Giuseppe Monno

Elenco delle principali eresie cristologiche e trinitarie (… e non solo… ) condannate dalla Chiesa cattolica

Docetismo

Modalismo

Adozionismo

Arianesimo

Monoenergismo e Monotelismo

Monofisismo

Subordinazionismo

Pneumatomachia

Apollinarismo

Miafisismo

Pelagianesimo

Nestorianesimo

Doppia predestinazione

Donatismo

Catarismo

Montanismo

Marcionismo

Psicopannichismo

Annichilazionismo

Zwinglianesimo

Luteranesimo

Calvinismo

Apocatastasi

Preesistenza dell’anima

Emanazionismo

Traducianesimo

Mormonismo

Geovismo

Rapimento anticipato degli eletti

Ipergrazia

Spiritualità New Age

I DUE DIFFERENTI CALENDARI RIGUARDANTI IL TEMPO TRASCORSO TRA LA RESURREZIONE E L’ASCENSIONE DI GESÙ

A cura di Giuseppe Monno

Nel Vangelo secondo Luca, Gesù ascende al cielo il giorno stesso della sua risurrezione, mentre negli Atti degli Apostoli — scritti dallo stesso autore — l’ascensione avviene dopo quaranta giorni.

I due racconti

Luca 24,50-51
Gesù appare ai discepoli la sera del giorno della sua risurrezione, parla con loro e poi — nello stesso giorno — li conduce fuori verso Betania. Alzate le mani, li benedice; e mentre li benedice, si stacca da loro e viene portato su in cielo.

Atti 1,3.9
Gesù si mostra vivo ai suoi discepoli dopo la sua passione, con molte prove, apparendo per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. Poi, sotto i loro occhi, viene elevato in alto e una nube lo sottrae al loro sguardo.

Due prospettive, un unico mistero

La Chiesa riconosce la differenza tra i due racconti non come una contraddizione storica, ma come l’espressione di due prospettive teologiche e narrative complementari.

Nel Vangelo, Luca riassume tutto il mistero pasquale — risurrezione, apparizioni e ascensione — come un’unica realtà gloriosa, concentrata nel “giorno del Signore”.

Negli Atti, invece, lo stesso autore propone una narrazione più distesa, che funge da ponte teologico tra la vita terrena di Gesù e la missione della Chiesa nascente.

Il significato del numero quaranta

Nella Bibbia, il numero quaranta ha un valore simbolico: rappresenta il tempo della preparazione, della prova e del compimento (Mosè sul Sinai, Elia nel deserto, Gesù tentato nel deserto).
Luca utilizza questa cifra per indicare che Gesù, prima di ascendere, forma i discepoli e li prepara a ricevere il dono dello Spirito Santo.

L’insegnamento della Chiesa

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma:

“La permanenza di Gesù sulla terra per quaranta giorni è un periodo di transizione…
La sua ascensione non significa un allontanamento, ma l’ingresso definitivo della sua umanità nella gloria di Dio.”
(CCC 659–660)

In altre parole, risurrezione e ascensione non sono due eventi separati, ma due aspetti di un unico mistero: il passaggio di Gesù dalla morte alla vita gloriosa, dalla terra alla piena comunione con il Padre.

Conclusione

La Chiesa insegna che non esistono due ascensioni, ma due modi di narrare lo stesso evento:

uno teologico e sintetico (nel Vangelo secondo Luca),

l’altro storico e didattico (negli Atti degli Apostoli).

Il Vangelo mostra l’aspetto teologico e glorioso del Cristo risorto,

gli Atti mostrano l’aspetto storico e missionario, preparatorio alla Pentecoste.

L’ascensione, dunque, è parte integrante dell’unico mistero pasquale, che comprende la morte, la risurrezione, la glorificazione e il dono dello Spirito Santo.

LE DONNE AL SEPOLCRO

A cura di Giuseppe Monno

La differenza nel numero e nei nomi delle donne al sepolcro è un altro esempio classico di “discrepanza apparente” nei Vangeli, che la Chiesa interpreta non come contraddizione, ma come diversità complementare di testimonianze.

Matteo 28,1
“Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro.”

Marco 16,1
“Passato il sabato, Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo.”

Luca 24,10
“Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo; anche le altre che erano con loro riferirono queste cose agli apostoli.”

Giovanni 20,1
“Il primo giorno della settimana, Maria Maddalena si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio.”

Secondo l’esegesi cattolica, i quattro evangelisti non intendono fornire elenchi esaustivi dei presenti, ma mettere in evidenza figure specifiche in base al messaggio teologico di ciascun Vangelo.

Non c’è nessuna contraddizione, ma diversi punti di vista. Tutti concordano su un fatto centrale: le prime testimoni della Risurrezione sono delle donne, e in particolare Maria Maddalena.

Le differenze nei nomi (Salome, Giovanna, l’altra Maria) sono spiegate come varianti parziali, dovute al fatto che alcuni evangelisti riassumono (Matteo, che cita solo due donne), altri specificano più dettagli (Marco, Luca), mentre Giovanni si concentra solo su Maria Maddalena, la principale testimone e prima annunciatrice.

La tradizione cattolica propone questa ricostruzione armonica:

  1. Un gruppo di donne (almeno tre o più: Maria Maddalena, Maria di Giacomo, Salome, Giovanna e altre) va al sepolcro.
  2. Maria Maddalena, più impulsiva, corre via per avvisare Pietro e Giovanni (Giovanni 20,2) lasciando le altre.
  3. Le altre donne vedono l’angelo e ricevono l’annuncio della Risurrezione (Matteo 28,5-7; Marco 16,5-7).
  4. Poi tutte riferiscono agli apostoli (Luca 24,10).

In altre parole, ogni Vangelo narra una parte della scena, da un’angolatura diversa, ma non si escludono a vicenda.

La Chiesa sottolinea che il punto centrale non è quanti nomi siano elencati, ma chi furono i primi testimoni: le donne, considerate inaffidabili come testimoni legali nel mondo ebraico del I secolo, sono invece scelte da Dio come prime annunciatrici del Risorto.

Questo sottolinea la veridicità storica del racconto (nessuno avrebbe inventato testimoni deboli per una menzogna) e la rivoluzione evangelica del ruolo della donna nella fede.

LE TRE VERSIONI DELLA MORTE DI ANTIOCO IV

A cura di Giuseppe Monno

Nei primi due libri dei Maccabei si trovano tre racconti diversi della morte di Antioco IV Epifane: per crepacuore (1 Maccabei 6,8-9), per lapidazione (2 Maccabei 1,16), per malattia (2 Maccabei 9,1-28).

La Chiesa non considera queste discrepanze come contraddizioni storiche, ma come diversi punti di vista teologici ispirati su un unico evento storico: la morte dell’empio re come segno della giustizia di Dio.

Le Scritture rivelano la verità salvifica attraverso diversi generi letterari, e non sempre in chiave cronachistica. (cfr. Dei Verbum, 12)

Ogni autore sacro usa un genere letterario diverso (storico, didattico, edificante) per mostrare lo stesso messaggio:

“Chi si innalza contro Dio, sarà umiliato.” (cfr. Luca 14,11)

Morte per crepacuore — 1 Maccabei 6,8-13

Quando il re udì queste notizie, restò sbalordito e profondamente scosso. Ammalato di dolore perché i suoi disegni erano falliti, si mise a letto… Disse: “So che per questo motivo mi sono sopraggiunti questi mali; ecco, muoio con grande dolore in terra straniera.”

Antioco, sconfitto e umiliato, muore di tristezza e rimorso dopo aver riconosciuto i suoi peccati contro Gerusalemme e il Tempio.

Si tratta di una morte psicologica, dovuta al rimorso. Non è violenta, ma morale e interiore: un giudizio divino espresso nel fallimento e nel dolore. Il messaggio: chi profana il Tempio non trova pace.

Morte per lapidazione — 2 Maccabei 1,13-16

Antioco si recò con i suoi amici in un tempio per sposare la figlia del re Tolomeo. Gli abitanti del tempio lo attaccarono, e con pietre e spade lo ferirono gravemente, e lo fecero a pezzi, gettandone le membra ai presenti.

Qui Antioco muore lapidato e mutilato da una folla pagana mentre tenta di saccheggiare un tempio straniero.

È un racconto teologico e ironico: colui che voleva profanare il Tempio di Gerusalemme muore mentre profana un tempio straniero. Si tratta di una narrazione esemplare più che storica, inserita per mostrare la giustizia retributiva divina. Il messaggio: Dio fa sì che la sua empietà gli si ritorca contro.

Morte per malattia — 2 Maccabei 9,1-28

Il Signore onnisciente, Dio d’Israele, lo colpì con un male incurabile e invisibile: un dolore atroce alle viscere… Vermi pullulavano dal suo corpo e la carne gli cadeva a pezzi.

Antioco viene colpito da una malattia orribile, segno del castigo di Dio. Soffre, riconosce la potenza del Signore, promette di cambiare vita, ma muore comunque nel tormento.

È il racconto più teologico e moralizzato. Il messaggio: il peccatore impenitente sperimenta già sulla terra la punizione divina; l’empietà e la superbia vengono punite nel corpo stesso del peccatore.

Insomma, le “tre morti” vengono interpretate come tre prospettive complementari:

Storica: Antioco effettivamente muore in Persia dopo le sue campagne.

Morale: Muore come empio punito da Dio, esempio del destino di chi si oppone al Signore.

Spirituale: La sua fine manifesta la vittoria del Dio d’Israele sul potere idolatrico e arrogante del mondo.

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