A cura di Giuseppe Monno

La rivelazione apocalittica non parla mai in termini di aritmetica, ma di mistero. I numeri in essa non servono a delimitare, bensì a disvelare l’invisibile logica divina che supera ogni misura umana.
Quando Giovanni ascolta il numero dei segnati, non riceve un dato statistico del cielo, ma la visione della totalità ordinata e compiuta del popolo di Dio.
Il numero 144.000 è il linguaggio simbolico della pienezza, non dell’esclusione:
le dodici tribù dell’antico Israele e i dodici apostoli del nuovo Israele si moltiplicano per mille, cifra di immensità e di compimento.
È come dire: tutto il popolo di Dio, in ogni tempo e luogo, conosciuto e custodito dal suo Signore.
Il fraintendimento dei Testimoni di Geova nasce da un approccio letteralista che, in nome della precisione numerica, perde il senso sacramentale della Parola.
La Scrittura non “conta” i salvati come si contano i cittadini di uno Stato:
essa “riconosce” coloro che appartengono al Signore.
Il 144.000 non è un numero di posti riservati in cielo, ma il segno battesimale dell’appartenenza a Cristo (cfr. Efesini 1,13).
Credere che solo 144.000 persone entreranno nel cielo, equivale a ridurre l’infinita misericordia di Dio alla misura di un elenco chiuso.
Ma Dio non salva per quota, bensì per comunione. Il suo amore non si divide in parti limitate, ma si espande e si moltiplica come la luce, senza sottrarre nulla a nessuno.
Giovanni sente il numero dei segnati (Apocalisse 7,4) e poi vede una moltitudine che nessuno poteva contare (Apocalisse 7,9).
Non sono due popoli, ma due prospettive dello stesso mistero.
Udire il numero significa contemplare la Chiesa nella sua dimensione ordinata e visibile, “contata” da Dio perché nulla di ciò che gli appartiene vada perduto.
Vedere la moltitudine significa invece contemplare la stessa Chiesa nella sua pienezza escatologica:
uomini e donne di ogni lingua, popolo e nazione, trasfigurati nella gloria dell’Agnello.
La teologia cattolica riconosce in questo movimento (dal “sentire” al “vedere”) la dinamica stessa della fede:
ciò che sulla terra appare come un piccolo gregge, nel cielo si manifesta come una moltitudine innumerevole.
La teologia geovista, separando i 144.000 dalla “grande folla”, introduce una gerarchia artificiale tra due gruppi di salvati:
gli uni destinati al cielo, gli altri a una terra secondaria.
Ma l’Apocalisse non conosce due popoli di Dio, né due salvezze parallele.
Il cielo e la terra non sono due premi, ma due dimensioni del medesimo Regno.
L’Agnello non ha due spose, ma una sola:
la Chiesa, santa e universale, composta da tutti coloro che portano il sigillo della fede e perseverano nell’amore.
Separare i 144.000 segnati dalla moltitudine innumerevole significa fraintendere il cuore stesso dell’Apocalisse:
l’unità tra Israele e le genti, tra il popolo dell’Alleanza e la Chiesa Universale.
Il “sigillo” non è un privilegio, ma una responsabilità: essere testimoni della fedeltà di Dio in mezzo alla prova.
Tutti coloro che sono sigillati sulla terra (cioè i battezzati che vivono nella fede) sono destinati a essere parte della moltitudine gloriosa in cielo.
Non due categorie, ma due fasi della stessa vocazione: la Chiesa militante e la Chiesa trionfante.
La vera salvezza non è riservata a pochi “eletti contati”, ma è offerta a tutti, perché Cristo “è morto per tutti” (2 Corinzi 5,15).
L’unico limite non è nel numero, ma nel rifiuto personale dell’amore divino.
In ultima analisi, la visione dei 144.000 segnati non è la descrizione di una élite spirituale, ma l’icona del popolo di Dio nella sua totalità, perfetto nella carità, ordinato nella grazia,
e glorioso nella speranza.
Il Regno dei cieli non è un club chiuso ma una comunione che si allarga, una moltitudine che nessuno può contare perché l’amore di Dio non si misura in cifre, ma in eternità.
Chi legge i numeri dell’Apocalisse con mentalità contabile trasforma la grazia in un censimento.
Ma chi li legge con il cuore della fede vi scorge il mistero dell’infinita generosità di Dio.
Il 144.000 non è un numero limitato, ma simbolico: rappresenta la totalità ordinata del popolo dei salvati.
La “moltitudine innumerevole” è la stessa realtà, contemplata nella sua pienezza escatologica.
Così la fede cattolica riconosce che Dio non conta per escludere, ma per amare; non limita per numero, ma compie per comunione.