A cura di Giuseppe Monno

La dottrina cattolica della verginità perpetua di Maria, inclusa la verginità nel parto, non nasce da un simbolismo tardivo, ma dalla fede antichissima della Chiesa e dall’interpretazione costante della Scrittura alla luce della Tradizione.
Di fronte alle obiezioni protestanti che riducono il parto di Gesù ad un evento ordinario, la Chiesa sottolinea che la nascita del Figlio di Dio è un mistero unico, nel quale l’azione divina non violenta ma trasfigura la natura.
I Padri hanno sempre visto nella nascita miracolosa di Cristo un segno della sua identità divina e della consacrazione singolare di Maria, Arca dell’Alleanza e porta “chiusa” di Ezechiele 44,2.
Difendere questa verità significa riconoscere che l’Incarnazione non fu solo un fatto storico, ma un evento sacro nel quale Dio stesso ha custodito l’integrità della Madre del Verbo eterno.
Di seguito si risponde a qualche obiezione protestante riguardo la virginitas in partu:
1. Se Maria partorì da vergine, perché offrì un sacrificio per la purificazione?
Maria obbedì alla Legge non perché impura, ma perché giusta.
L’argomento protestante parte da un presupposto che la Scrittura non richiede:
la purificazione rituale non è un giudizio morale né una diagnosi medica, ma una norma cultuale che riguarda lo stato giuridico della donna nella comunità israelita.
La Legge di Mosè, infatti, non dice che la donna diventa “impura perché ha avuto rapporti col marito” o “perché il parto distrugge la verginità”, ma semplicemente perché il sangue del parto comporta un periodo di separazione cultuale (Levitico 12).
Anche una donna che avesse partorito miracolosamente — come avviene, per esempio, nelle nascite straordinarie dell’Antico Testamento (es. Isacco, Sansone, Samuele) — sarebbe stata sottoposta alle stesse norme.
Ciò significa che l’offerta non dimostra nulla sullo stato fisico del parto; l’offerta non implica perdita della verginità; Maria si sottomette alla Legge perché è la “figlia di Sion”, modello di obbedienza, non perché la Legge abbia qualcosa da “purificare” in lei.
La sua obbedienza anticipa quella di Cristo, che “nato da donna, nato sotto la Legge” (Galati 4,4), la adempie perfettamente pur essendo Santo.
Maria compie ciò che la Legge richiede per solidarietà con Israele, non per bisogno personale. È lo stesso motivo per cui Gesù si fa battezzare pur essendo senza peccato.
2. La Bibbia non descrive un parto miracoloso: quindi non è avvenuto.
Il Nuovo Testamento non descrive mai il “come” del parto, ma l’origine divina del Figlio.
La Scrittura è estremamente sobria nel parlare della nascita di Gesù. L’evangelista riporta solo l’essenziale: “Diede alla luce il suo figlio primogenito” (Luca 2,7). L’assenza di dettagli non è un argomento contro il miracolo:
nel genere biblico, il silenzio non è negazione.
Al contrario:
Luca e Matteo sottolineano in modo forte e ripetuto l’origine divina del concepimento
(Luca 1,35; Matteo 1,18-25).
Se la concezione è opera dello Spirito Santo e riguarda l’intero mistero dell’incarnazione, è teologicamente coerente che anche il parto sia avvolto dalla stessa iniziativa divina, come i Padri hanno sempre interpretato.
La Scrittura non intende dare una descrizione ostetrica, ma rivelare che Gesù entra nel mondo come Luce che non viene da un uomo (Giovanni 1,13). Il parto verginale è la “corona” del concepimento miracoloso, non una leggenda aggiunta.
3. La verginità durante il parto è un’invenzione tardo-medioevale.
L’obiezione protestante secondo cui la verginità nel parto sarebbe un’invenzione tardo-medievale è storicamente infondata. Le testimonianze dei Padri sono numerose, precoci e coerenti.
Sant’Ignazio di Antiochia (Epistula ad Ephesios, XIX, 1)
parla del mistero del parto come opera silenziosa e nascosta di Dio.
Sant’Ireneo (Adversus haereses III, 21,4; V, 19,1)
vede in Maria la “terra vergine” da cui Dio trae il Nuovo Adamo.
Tertulliano (De carne Christi, cap. 18–19)
afferma che Maria concepì vergine, e partorì vergine.
Origene (Commentarii in Evangelium Lucae, Liber 1–2, cap. 7)
commenta che Maria è “sempre vergine”, secondo la tradizione della Chiesa.
Sant’Ambrogio (De institutione Virginis, cap. 8; Expositio in Psalmum CXVIII, sermo 17)
usa l’immagine della luce (Cristo) che attraversa il vetro (Maria) senza romperlo, non per poetica ma per dottrina cristologica.
San Gregorio di Nissa (De Nativitate Christi)
commenta la nascita di Cristo “senza corruzione”, “impassibile”, e simile a un raggio di sole che attraversa un vetro senza romperlo
(immagine utilizzata anche da sant’Ambrogio).
San Giovanni Crisostomo (Homilia in Nativitatem Domini)
collega esplicitamente la verginità perpetua di Maria alla natura miracolosa del parto di Cristo, confermando la dottrina patristica della verginità in partu:
Il parto della Vergine non fu accompagnato da dolore
(parthenos partus sine dolore).
Sant’Agostino (De sancta virginitate 4; Sermo 186)
afferma che Cristo “passò attraverso il chiuso grembo della Vergine”,
analogamente a come,
risorto, “entrò tra in casa dei discepoli a porte chiuse”.
San Leone Magno (Sermo 22 in Nativitate Domini)
dice che Cristo nasce senza violare la verginità della madre.
L’universalità orientale e occidentale su questo punto mostra che non è un’invenzione tardo-medioevale, ma un dato organico della fede primitiva.
Non è tanto che cosa pensiamo di Maria,
ma chi è Gesù.
Se Gesù è realmente il Figlio di Dio, allora
la sua concezione non può esser frutto di un uomo;
la sua nascita può essere un atto straordinario della potenza divina;
il suo venire al mondo non è vincolato dalle leggi biologiche in modo meccanico.
Il parto verginale è un segno che l’umanità di Cristo è vera, ma non imposta dall’uomo:
è puro dono.
Difendere Maria è difendere la verità sull’Incarnazione.
L’offerta del sacrificio da parte di Maria non contraddice la verginità nel parto:
mostra che la Madre del Signore, pur destinataria di un miracolo unico, rimane figlia del suo popolo e obbediente alla Legge. E proprio quell’obbedienza conferma che ciò che è accaduto in lei non è un mito, ma un evento reale, vissuto nella storia concreta di Israele.
La verginità nel parto non è un privilegio isolato, ma il sigillo di Dio sulla nascita del suo Figlio: un parto che non cancella la natura, ma la supera senza violarla, come solo l’amore divino sa fare.
La perpetua verginità di Maria è un dogma eminentemente cristocentrico, non marianocentrico. È cioè un insegnamento che nasce dal modo in cui la Chiesa comprende Cristo, e solo in secondo luogo dal ruolo singolare di Maria.
Maria non è vergine nonostante Cristo, ma a causa di Cristo.
La sua verginità perpetua è un monumento vivente alla verità dell’Incarnazione:
il Fiume eterno è entrato nella storia attraverso una Sorgente che è rimasta fonte purissima perché il Fiume non ha origine umana.
La perpetua verginità è strettamente collegata al titolo di Theotókos, definito a Efeso (431).
Se Maria è Madre vera del Verbo incarnato, il suo rapporto con il Figlio è unico, non replicabile in altre maternità.
La relazione che la definisce non è con un uomo, ma con Dio stesso.
Perciò la verginità perpetua sottolinea la singolarità della maternità divina, non un’idea platonica di purezza.
La perpetua verginità di Maria è profondamente cristocentrica.
Affermarla significa riconoscere la singolarità dell’Incarnazione;
la divinità di Cristo;
l’unicità della sua nascita nel mondo;
la grandezza della maternità divina di Maria;
la natura sacramentale e spirituale della Chiesa.
La perpetua verginità ha anche una valenza ecclesiologica:
Maria rappresenta la Chiesa che genera Cristo nel mondo mediante la fede, non mediante potenza umana.
Come Maria concepisce senza uomo, così la Chiesa genera nuovi figli attraverso lo Spirito.
Come Maria rimane vergine, così la Chiesa custodisce la purezza della fede ricevuta.
Questa prospettiva è ancora una volta radicata in Cristo, non in Maria.