SERAFINI

A cura di Giuseppe Monno

Nel cuore della visione cristiana dell’ordine celeste, i Serafini occupano il vertice della gerarchia angelica. Essi sono spiriti purissimi, ardenti d’amore per Dio, e custodi del mistero divino. La Chiesa cattolica, rifacendosi alla Scrittura, alla teologia e alla tradizione patristica, li venera come esseri sublimi che, nella liturgia celeste, eternamente acclamano la gloria dell’Altissimo.

La fonte principale sulla figura dei Serafini è la visione di Isaia:

«Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato… Sopra di lui stavano dei Serafini: ognuno aveva sei ali; con due si copriva il volto, con due si copriva i piedi e con due volava. E l’uno gridava all’altro: Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti, tutta la terra è piena della sua gloria.» (Isaia 6,1-3)

I Serafini sono qui raffigurati come spiriti vicinissimi al trono di Dio, ardenti nel culto e nel servizio. La loro triplice acclamazione ha influenzato profondamente la liturgia cristiana (cf. Sanctus nella Santa Messa).

Sebbene il nome Serafino appaia solo in Isaia, il loro ruolo può essere accostato agli esseri celesti che circondano Dio nell’Apocalisse (4,6-8), spesso identificati nella tradizione con i Serafini.

Secondo la teologia di Dionigi (VI secolo), accolta da San Tommaso d’Aquino (XIII secolo), i Serafini occupano il posto più alto della prima triade angelica:

Prima triade: Serafini, Cherubini, Troni – adorazione e contemplazione di Dio.

Seconda triade: Dominazioni, Virtù, Potestà – ordine e governo dell’universo.

Terza triade: Principati, Arcangeli, Angeli – interazione diretta con l’uomo.

San Tommaso scrive:

«I Serafini sono detti così per l’ardore della carità… Al primo ordine si addice la pienezza dell’amore.» (Summa Theologiae, I, q. 108, a. 5)

Il termine Serafino deriva dall’ebraico Saraf («ardere», «bruciare»): essi sono quindi «gli ardenti». Questa etimologia indica il fuoco dell’amore che li consuma, ma anche la luce purificatrice della loro presenza. Le sei ali indicano l’umiltà (ali per coprirsi il volto), la riverenza (per coprire i piedi) e la prontezza all’obbedienza (per volare).

Sant’Agostino (IV–V secolo) distingue tra angeli come funzione (messaggeri) e come natura (spiriti). I Serafini, pur non essendo normalmente inviati agli uomini, servono Dio in modo eccelso:

«Gli Angeli sono tutti spiriti, ma non tutti gli spiriti sono Serafini.» (De Civitate Dei, XI, 9)

San Gregorio Magno:

«Sono chiamati Serafini coloro che, accesi dall’ardore della carità, mentre contemplano Dio, si distaccano da ogni desiderio terreno.» (Moralia in Iob, XXII, 23)

Origene collega i Serafini al Verbo e all’opera della purificazione del profeta Isaia. In una lettura mistica, i Serafini sono simbolo dell’intelletto che contempla Dio e ne riflette il fuoco.

Il Sanctus, recitato durante la preghiera eucaristica, deriva direttamente dalla visione di Isaia. Nella tradizione orientale e occidentale, è attribuito principalmente ai Serafini.

Nella liturgia bizantina si fa menzione esplicita dei Serafini nel Trisagio e nella Grande Dossologia. Nella Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, si canta:

«Inno dei Serafini, che incessantemente glorificano Dio…»

Nell’iconografia cristiana, i Serafini sono rappresentati con sei ali, spesso rossi o fiammeggianti, talvolta con occhi sulle ali (simbolo di sapienza e vigilanza). Le opere più celebri sono quelle di Giotto e Beato Angelico, che li raffigurano nelle scene celesti come spiriti purpurei in estasi, e Michelangelo e Raffaello che li inseriscono tra i cori angelici nei cieli della Cappella Sistina.

Nel Medioevo, i Serafini venivano ricamati nei paramenti sacri o nelle miniature per indicare la presenza del divino e la purezza dell’officiante.

San Francesco d’Assisi ricevette le stimmate dopo una visione di un Serafino crocifisso (Monte della Verna, 1224). Il Serafino qui appare come mediatore della trasformazione mistica: l’amore ardente conduce all’unione con Cristo crocifisso.

Nel 1577 la mistica Santa Teresa d’Avila descrive gradi di orazione che culminano in una comunione con Dio alla maniera dei Serafini: «senza parole, in fuoco silenzioso.» (Il Castello interiore)

I Serafini, nella fede cattolica, non sono solo creature angeliche remote, ma immagini della vocazione ultima dell’anima: contemplare, adorare, amare Dio con tutto l’essere. Essi ricordano che il fine della vita cristiana è l’unione ardente con l’Amore increato. La teologia, la liturgia e l’arte li custodiscono come segno del fuoco divino che, un giorno, trasfigurerà i cuori di tutti i Santi.

O infiammati Serafini, ottenetemi un amore ardente per Dio.

Pubblicato da Cristiani Cattolici Romani

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