Nel vangelo secondo Matteo abbiamo un riferimento al celibato come vocazione: Gesù menziona gli « eunuchi che si son resi tali per il regno dei cieli » (Matteo 19,12). In antico Oriente gli eunuchi erano schiavi resi sessualmente impotenti mediante la castrazione. Infatti tra i compiti di particolare fiducia che il padrone affidava all’eunuco, c’era quello di custodire le sue donne. Ma un eunuco poteva essere tale anche a causa di un difetto organico fin dalla nascita. A causa di questa loro mancanza di virilità, gli eunuchi non possono contrarre il matrimonio. Perciò Gesù fa uso di un iperbole – una esagerazione che serve a impressionare la fantasia di chi ascolta e fargli ricordare meglio questa verità – in riferimento a coloro che scelgono di restare celibi per dedicarsi completamente all’annuncio del regno dei cieli. Tale vocazione può essere solo un dono di Dio: « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi » (Giovanni 15,16). Un riferimento lo troviamo anche nelle lettere del celibe Paolo: « Vorrei che tutti fossero come me, ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro » (1Corinzi 7,7). Un racconto di Matteo fa pensare che, quando fu scelto da Gesù come apostolo, Pietro fosse vedovo (Matteo 8,14-15). Infatti non viene mai menzionata « la moglie di Pietro » nei testi sacri, e in quel episodio non stava in casa a prendersi cura della madre ammalata. Perciò è lecito pensare alla possibilità che Pietro fosse vedovo. Riguardo gli altri apostoli non sappiamo se questi fossero sposati o soltanto accompagnati, durante alcuni loro viaggi missionari, da donne credenti (1Corinzi 9,5). Infatti il greco « adelphen gynaika » (lett « donna sorella ») indica una donna cristiana, a prescindere se questa sia una vergine, una nubile, una moglie o una vedova. I testi sacri non ci parlano di ipotetiche mogli degli apostoli, e perciò non è corretto che alcuni traducano « gynaika » con « moglie », forzando il lettore a dover credere che gli apostoli fossero sposati e accompagnati dalle loro mogli durante i viaggi missionari. Il greco « gyne » indica in modo generico la donna (Matteo 9,20.22; 11,11; 13,33; 15,22.28 ecc), è solo in determinati contesti può essere tradotto con « moglie », cioè quando lo scrittore ci fa sapere che quella donna è legata a un uomo mediante un vincolo matrimoniale (Matteo 5,31-32; 14,3; 18,25; 19,3 ecc). Ma Paolo non ci fa sapere se quelle cristiane che accompagnavano gli apostoli in alcuni viaggi missionari fossero legate a loro da un vincolo matrimoniale. Nella sua lettera l’apostolo parla del diritto che hanno coloro che predicano il vangelo di vivere a spese della comunità (1Corinzi 9,1-12). Questo diritto l’hanno anche coloro che sono accompagnatori (v 5). Tra queste credenti vi erano, probabilmente, Maria Maddalena e la madre di Giacomo minore e di Ioses, e Salomè madre di Giacomo maggiore e di Giovanni, che già dalla Galilea avevano seguito Gesù per servirlo (Matteo 27,55). Quanto ai loro successori, i vescovi, gli era concesso di essere sposati (1Timoteo 3,2). Questa fu una concessione di allora. Ma avendo ricevuto da Gesù – mediante la successione apostolica, cioè per mezzo dell’imposizione delle mani da parte degli apostoli su uomini scelti da loro e che a loro volta sceglievano altri a cui imporre le mani (2Timoteo 1,6; 1Timoteo 4,14; 5,22; Atti 14,23; Tito 1,5) – un ampio potere di legare e di sciogliere (Matteo 16,19; 18,18), quindi l’autorità di pronunciare giudizi in materia di dottrina e di prendere decisioni disciplinari, la Chiesa cattolica ritenendo conveniente la continenza da parte dei vescovi e dei presbiteri ha successivamente imposto il celibato ecclesiastico. La Chiesa si è rifatta ad alcune scritture del Nuovo Testamento che sono state interpretate come raccomandazioni del celibato. Abbiamo già visto Matteo 19,12 in cui Gesù fa riferimento a coloro che scelgono di restare celibi per dedicarsi completamente all’annuncio del regno dei cieli. Mentre in Luca Gesù afferma che « non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà » (Luca 18,29-30). Nella sua lettera invece, Paolo scrive: « Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito. Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni » (1Corinzi 7,32-35).
CELIBATO ECCLESIASTICO